Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sui “dazi di Trump” e non avete mai osato chiedere.

L’economia internazionale non è di facile comprensione.

Eppure in questi giorni è cruciale per farsi un’idea del dibattito che sta monopolizzando politica e informazione.

Proviamo a esaminare i concetti fondamentali.

1) COSA SONO I DAZI?

Se un paese A vende un suo prodotto (che costa 100) nel paese B, quest’ultimo può proteggere i propri produttori domestici imponendo un dazio, diciamo del 20%.

Significa che l’importatore deve pagare 120 quel bene, e non più 100.

A quel punto l’importatore ha una scelta:

a) mantenere – nel paese B – il prezzo a 100, per non perdere quote di mercato, e facendosi carico dei 20 di dazio (riducendo quindi i suoi profitti).

b) traslare il dazio sul prezzo, vendendo il bene quindi a 120, provocando un aumento del prezzo del 20%. In questo caso nel paese B aumenta l’inflazione e in prospettiva probabilmente si ridurrà la domanda di quel bene.

2) SCUSA MI SEMBRANO TUTTI ESITI NEGATIVI. MA ALLORA PERCHÉ I PAESI METTONO I DAZI?

Storicamente si ragionava in modo molto banale: “beh, se alzo artificialmente il prezzo dei beni importati, i miei consumatori preferiranno orientarsi verso i beni prodotti nel mio paese. E questo aumenterà reddito e occupazione nel mio paese”

3) IN EFFETTI SUONA BENE. MA NON È COSÌ?

No, purtroppo no. Per vari motivi:

a) se il dazio viene traslato sui prezzi, provocandone quindi un aumento, non è detto che i consumatori si possano o si vogliano spostare così facilmente da un prodotto importato a uno “fatto in casa”.

Pensate al vino italiano: anche se Trump mette dazi molto alti, è probabile che la domanda per quel bene sia “rigida” (cioè relativamente insensibile a variazioni di prezzo).

Oppure alle materie prime, come petrolio o gas. In questo caso quindi i dazi comportano prezzi più alti, e riducono il reddito reale dei consumatori.

b) se invece il dazio viene assorbito dai profitti degli importatori, si tratta pur sempre di una riduzione del reddito di agenti economici della tua economia.

Meno profitti, meno investimenti, meno occupazione, meno reddito.

c) se, come spesso accade, anche i beni prodotti in un paese usano componenti prodotti all’estero (e quindi importati), l’effetto autolesionista nei dazi è ancora più evidente.

Pensate ad un’autovettura prodotta nel paese che mette i dazi, ma che per essere costruita compra il metallo all’estero: quel metallo, quindi, verrà colpito dai dazi e aumenterà di prezzo. Così facendo aumentando anche il prezzo dell’autovettura, che invece si voleva proteggere.

d) molto spesso l’imposizione dei dazi da parte del paese B nei confronti del paese A comporta, come rappresaglia, l’imposizione di uguali dazi da parte del paese A nei confronti del paese B.

E questo danneggia ulteriormente le imprese che esportano, quindi i loro profitti, i loro investimenti, loro occupazione e in ultima analisi il Pil del paese che aveva iniziato la guerra dei dazi.

e) rendere (o provare a rendere) artificialmente più costosi i beni dei propri concorrenti con l’imposizione di un dazio governativo non è mai una buona idea, perché impedisce il vero “cuore” delle economie di mercato: provare a conquistare i consumatori inventando prodotti nuovi o fornendo quelli esistenti con una tecnologia migliore e più efficiente.

4) BEH, 5 MOTIVI MI SEMBRANO SUFFICIENTI. MA SCUSA ALLORA PERCHÉ TRUMP METTE I DAZI?

La motivazione data in conferenza stampa è stata semplice: “perché gli altri Stati hanno dazi persino più alti nei nostri confronti”.

Ma come detto nei giorni scorsi, si tratta di una colossale balla. Pur non avendo tempo di approfondire, si tratta di un – incredibile – caso in cui i numeri sono stati letteralmente inventati : per esempio, dazi medi della Ue nei confronti degli USA sono di poco superiori al 2%, e non certo il 39% dichiarato in conferenza stampa.

Trascurando i motivi geopolitici, i veri obiettivi di Trump sembrano essere due:

a) indurre le imprese a spostare le proprie produzioni negli USA, così da evitare i dazi

b ) annullare i deficit delle partite correnti che gli USA hanno nei confronti del resto del mondo.

5) E NON SONO DUE OBIETTIVI LEGITTIMI?

Non proprio.

Per quanto riguarda il primo, l’intento è comprensibile ma poco realistico e anche poco desiderabile.

Poco realistico perché pensare che, anche nel lungo periodo, sia facile o agevole spostare intere fabbriche dall’Europa o dall’Asia agli Stati Uniti significa non avere un’idea proprio precisissima di come funziona l’economia del nostro tempo.

E poco desiderabile perché quello che Trump sembra avere in mente è un mondo autarchico, in cui tutto quello che viene consumato negli Stati Uniti viene prodotto dagli Stati Uniti e negli Stati Uniti. Un’obiettivo che contraddice qualche secolo di storia economica.

6) OK. E L’OBIETTIVO DI RIDURRE I DEFICIT DELLE PARTITE CORRENTI? ANZI GUARDA VISTO CHE CI SIAMO: CHE DIAVOLO SONO ?!!

Prendiamo il paese Pippo.

Imprese e famiglie esportano ( = vendono all’estero) beni e servizi per un valore di 100.

Allo stesso tempo importano ( = comprano dall’estero) beni e servizi per un valore di 160.

Si dice che il paese Pippo registra un “deficit delle partite correnti” pari a 60 ( = 100 – 160)

Giornalisticamente viene chiamato anche “deficit commerciale” anche se, a rigore, questa dizione comprenderebbe solo i beni fisici e non anche i servizi.

7) AH. E QUESTO DEFICIT È UNA COSA BRUTTA, VERO?

Il deficit delle partite correnti implica che un’economia (settore pubblico + settore privato) sta comprando dall’estero più di quello che vende all’estero.

E questo, se protratto nel tempo, succede per un solo motivo: in quel paese la domanda interna sta correndo più della produzione interna. Cioè quel paese consuma e investe più di quanto quel paese è in grado di produrre (oppure, equivalentemente, investe più di quello che risparmia)

Ed è esattamente il caso degli Stati Uniti.

A causa di un settore privato con elevata propensione ai consumi (e all’indebitamento privato) e ultimamente pure a centinaia e centinaia di miliardi di dollari pompati nell’economia dallo Stato, consumi e investimenti (pubblici e privati) sono sempre maggiori di quanto quel paese riesce a produrre.

Se quindi il presidente Trump intende ridurre lo squilibrio nella “bilancia commerciale” (chiamata così con una lieve impressione, come abbiamo detto) – e in assenza di veri impedimenti alle esportazioni USA – deve aumentare il tasso di risparmio pubblico e privato del suo paese, invece di mettere i dazi.

8 ) OK MA DUE COSE ANCORA NON MI SONO CHIARE. LA PRIMA: MA QUESTO “DEFICIT COMMERCIALE” CHE CONSEGUENZE HA PER GLI USA?

Il deficit delle partite correnti ha una contropartita per costruzione: il surplus nelle partite finanziarie.

Vale a dire, uno Stato finanzia il fatto che compra dall’estero più di quanto vende all’estero con un afflusso di capitali esteri: cioè l’acquisto di attività finanziarie americane (come i titoli del debito pubblico o qualsiasi asset finanziario nella Borsa di Wall Street).

Quindi quando un paese “si lamenta” del proprio deficit delle partite correnti, dovrebbe a rigore anche lamentarsi dell’eccessiva vendita di proprie attività finanziarie all’estero ( cioè un eccessivo afflusso di capitali).

E non mi pare che sia questo il caso.

Il secondo dubbio che avevi qual era?

9) MA PER RISOLVERE LO SQUILIBRIO NON POTREBBE ESSERE LA UE A CONSUMARE E INVESTIRE DI PIÙ?

Esattamente.

Perché la storia raccontata finora può essere raccontata anche al contrario: la Ue ha nei confronti degli USA un surplus delle partite correnti, dovuto al fatto che risparmia più di quanto investe.

E quell’eccesso di risparmio va appunto ad acquistare attività finanziarie americane sulla piazza di Wall Street.

Quindi la “soluzione” (ammesso che siamo davvero in presenza di un problema, e io ne dubito) può anche essere che la Ue inizi a dirottare il proprio risparmio al proprio interno.

Ma per farlo, nella Ue non ci devono più essere 27 mercati dei capitali diversi, 27 autorità di regolamentazione diverse, e decine di borse diverse.

Ci deve essere un solo mercato di capitali, una sola autorità di regolamentazione, un solo set di regole.

In altre parole, per soddisfare le richieste di Trump ci vuole una maggiore integrazione europea e una minore gelosia delle prerogative degli Stati nazionali.

10) INSOMMA, IN CONCLUSIONE?

Sia la teoria economica che la storia economica ci insegnano che i dazi portano a minore crescita, minore occupaIone, minor benessere.

Quando va bene.

Quando va male, come un centinaio di anni fa, dalla guerra commerciale si passa alla guerra e basta.

Qualunque sia l’obiettivo economico del presidente Trump, non si raggiunge con i dazi ma con l’esatto opposto di quello in cui il presidente crede. Vale a dire, maggior coordinamento multilaterale e maggior integrazione europea.

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