Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul “Redditometro” e che non avete mai osato chiedere.

“Ah ma è troppo lungo, serve solo una card colorata”.

Allora vai a leggere le card colorate. Qui cerchiamo di capire, non di fare televendite.


1) CHE COS’È IL REDDITOMETRO?

E’ uno strumento che consente al fisco di intervenire quando c’è qualcuno che ha un tenore di vita troppo elevato rispetto al reddito che dichiara.

2) ED È COSÌ SBAGLIATO?

No, il concetto è giusto ed è applicato praticamente ovunque. Il punto è capire come funziona in pratica lo strumento che, concretamente, va a svolgere questo compito. Ed è qui che “casca l’asino”.

3) DA QUANDO ESISTE IL REDDITOMETRO?

E’ stato previsto fin dalla nascita del sistema fiscale nella sua attuale configurazione (1973).

Un decreto ministeriale del 1992 fisso’ l’elenco di beni e servizi che, se posseduti dal contribuente, davano diritto al fisco di presumere – secondo certi indici e coefficienti – il reddito che si stava nascondendo. Ovviamente si dava modo al contribuente di spiegare, portando documentazione, da dove veniva questa maggiore disponibilità di spesa.

Nel 2010 tuttavia – sotto il governo Berlusconi con Giorgia Meloni ministro – il redditometro diventa molto più duro.

4) CIOÈ?

Tre punti:

a) si decise che il fisco poteva dedurre il reddito del contribuente non solo da una lista precisa di beni posseduti o di consumi effettuati, ma da spese di qualsiasi genere.

b) questa discrasia, per dar luogo all’accertamento, non doveva perdurare nel tempo – come accadeva prima – ma era sufficiente si realizzasse per un solo anno.

c) la differenza (tra reddito presunto e reddito di dichiarato) che faceva scattare l’intervento del fisco fu abbassata, rendendolo quindi molto più probabile.

Con il decreto ministeriale del 2012 (sotto il governo Monti) si specifica che il fisco può dedurre il reddito vero non solo dalle spese effettivamente sostenute ma anche dalle medie dell’Istat e dai vari studi socio-economici che inquadrano il comportamento presunto del sig. Mario Rossi unicamente sulla base di parametri medi (e non puntuali).

5) E COSÌ ANDAVA ANCORA BENE?

No, per niente. Presumere comportamenti di consumo (e, da lì, il reddito vero) sulla base di parametri medi (e poi ribaltare sul cittadino l’onere di provare che non è così) non è il modo corretto di interfacciarsi col contribuente.

Tanto più se, una decina di anni fa, cominciano a farsi strada strumenti tecnologici per poter controllare in maniere puntuale – e non presunta – il comportamento dei contribuenti.

6) E QUINDI CHE SUCCEDE?

Durante il governo Renzi prima nel 2014 (con circolare dell’Agenzia delle Entrate) e poi nel 2015 (con decreto ministeriale) vengono eliminate le medie ISTAT dal redditometro. O meglio, possono essere utilizzate solo se connesse a elementi certi e visibili, limitando di molto “la fantasia” dell’amministrazione finanziaria.

7) MA IN QUEGLI ANNI IL REDDITOMETRO FUNZIONA?

Poco. Si rivela uno strumento ingombrante, invasivo, foriero di mille contenziosi e, soprattutto, che porta pochissimo gettito (misurabile in decine di milioni, su all’epoca 100 miliardi di evasione fiscale).

Nel 2018 viene sospesa l’applicazione.

E la settimana scorsa, con provvedimento amministrativo del governo Meloni, viene ripristinato nella sua piena potenza.

Prima che, sotto i colpi della tempesta mediatica, fosse sospeso in attesa di approfondimenti.

8 ) MA OGGI IL REDDITOMETRO PUÒ ESSERE ANCORA UNO STRUMENTO UTILE?

Nell’epoca della fatturazione elettronica, dell’ anagrafe tributaria potenziata, dell’incrocio di banche dati, dell’intelligenza artificiale, delle analisi del rischio fiscale e dell’atteggiamento molto più ragionevole del Garante della Privacy, la mia risposta è un convinto “no”.

Forse può essere ancora utile per scovare qualche evasore totale (ci sono ancora quelli che girano in Ferrari e si dichiarano nullatenenti), ma chiunque conosca un minimo i meccanismi dell’amministrazione finanziaria e del nostro sistema fiscale sa che uno strumento del genere, oggi, porta più problemi che soluzioni.

9) QUINDI NON VUOI COMBATTERE L’EVASIONE FISCALE?

Dal 2014 al 2021 (dati Mef) l’evasione fiscale in Italia si è ridotta di un quarto. In particolare quella IVA si è dimezzata.

E tutti gli analisti concordano che questo sia avvenuto grazie ai provvedimenti del “fisco telematico” introdotti dal governo Renzi sotto un diluvio di insulti e manifestazioni contrarie da parte di tutti gli altri partiti.

Quindi quelli che hanno parlato poco di lotta all’evasione, l’hanno fatta.

Quelli che si riempiono la bocca di chiacchiere (a destra – con gli strali contro “l’evasione delle banche” – e a sinistra – con l’ossessione verso gli autonomi e le piccole imprese) di solito si sono limitati a strappare gli applausi nei convegni o nei comizi.

10) COSA SERVE SECONDO TE PER CONTINUARE A COMBATTERE L’EVASIONE?

Un equilibrato patto tra Stato e contribuente fatto dei seguenti punti:

a) ogni euro recuperato stabilmente dalla riduzione dell’evasione fiscale ( = riduzione del tax gap) deve obbligatoriamente – e non come facoltà del governo, come avviene ora – essere destinato a ridurre la pressione fiscale su chi lavora e produce.

b) la riscossione deve diventare una cosa seria. Al momento, non lo è. Se un contribuente non ti contesta una cartella, non ti porta in contenzioso e non chiede una rateizzazione, lo Stato quei soldi te li deve andare a prendere velocemente e senza vincoli. Come accade in tutti i paesi civili.

c) l’investimento del fisco telematico deve proseguire, estendendo la fatturazione elettronica a chi ora ne è escluso e applicando le più avanzate tecniche di analisi del rischio fiscale incrociando le banche dati. Il sistema fiscale poi deve diventare più semplice: non solo perché aiuta la crescita, ma perché un sistema più semplice e’ più facile da controllare per scovare i furbi.

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *