Javier Milei, si può vincere dicendo la verità.

Il mio articolo per il Riformista del 6 gennaio 2023

Sebbene – immersi come siamo nella dittatura dell’istante – non ci siamo più abituati, un’esperienza di governo non si giudica mai dalle intenzioni o persino dai primi atti di governo, ma solo sul medio periodo. O in certi casi persino nel lungo. Perciò non è sano urlare al Messia o operare santificazioni di ogni tipo, soprattutto in un paese come quello, che ne ha già viste di tutti i colori e che ha già vissuto innumerevoli illusioni finite male o malissimo. Così come, infine, ogni programma di governo anche radicale non deve mai neanche solo dare l’idea di minacciare le libertà civili e politiche dei propri cittadini, a cominciare con quella di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Fatte queste doverose premesse, non si può non guardare perlomeno con attenzione a quello che sta facendo il nuovo presidente argentino, Javier Milei. Nel suo discorso di insediamento, quello in cui normalmente si rinnovano le più ardite promesse fatte in campagna elettorale, ha detto alla folla “aprite bene le orecchie: non ci sono soldi”. E ha ricevuto in cambio un’ovazione. E non stava parlando né ad una platea svizzera né ad una olandese: ma ad un paese che in decenni di populismo era stato abituato a considerare la spesa pubblica come un contenitore infinito e gratuito a cui attingere liberamente. Per rafforzare il concetto, ha proibito di utilizzare la parola “gratis” ai servizi offerti dal settore pubblico: per far comprendere alla gente che quei beni o servizi non sono affatto gratis, ma pagati con le tasse dei contribuenti (chissà come avrebbe reagito Milei al “graduidamente” di Giuseppe Conte).

In un’economia fortemente protetta, ha abolito il controllo dei prezzi e le restrizioni al commercio internazionale; ha lanciato un massiccio piano di liberalizzazione di settori economici e di privatizzazione della mastodontica serie di aziende controllate dallo Stato. Tenendo fede alle promesse fatte in campagna elettorali (e rese celebri dal mitologico video social dove strappava i nomi dei dicasteri urlando “Afuera!”) ha cancellato dieci ministeri, rendendo l’organizzazione del governo più funzionale e snello. Ha iniziato una brutale ma decisa azione di riduzione della spesa pubblica, bollata – in alcune sue componenti – come modo per comprare consenso politico.

Indubbiamente il piano di risanamento macroeconomico comporterà anche riduzioni della spesa sociale ma intanto il presunto “affamatore del popolo” ha raddoppiato l’assegno universale sui figli e aumentato del 50% la tessera alimentare. E in politica estera si è affrettato a disdire l’adesione dell’Argentina ai BRICS, ribadendo senza ambiguità che il suo paese vuole avere come punto di riferimento il modello politico dell’Occidente e degli Stati Uniti. Uno degli errori più grandi che si possono fare in economia è pensare che le azioni di politica economica intraprese in un paese A in un momento B possano automaticamente essere adatte anche per un paese C e magari in un momento D.

Tuttavia, chi come me è convinto che il problema dell’Italia non sia il troppo mercato (ma il troppo poco) e non sia la poca spesa pubblica (bensì la troppa), non può non guardare con un po’ di curiosità a quello che sta avvenendo laggiù “alla fine del mondo”. Soprattutto per un aspetto: sognare che, in un paese dove ancora adesso si prendono milioni di voti promettendo redditi di cittadinanza e superbonus, sia possibile un giorno impostare un programma politico che abbia il coraggio di dire la verità ai cittadini. E non solo vincere le elezioni, ma farsi applaudire quando si annuncia che si passerà dalle parole ai fatti.

“Vabbè ma Milei è matto”, qualcuno mi dice spesso. Confesso che, tra tutte, mi sembra l’obiezione più assurda. Premesso che da noi non abbiamo (ancora) personaggi che vivono con cani donati, hanno capigliature così assurde e comunicano telepaticamente col defunto mastino chiamato Conan, non penso che però sia un argomento che in Italia possiamo utilizzare con cotal disinvoltura, diciamo.

Luigi Marattin

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