Il “bilancio tecnico” nei comuni: una storia italiana

Proprio come per lo Stato (che infatti, con la Legge di Bilancio, lo approva ogni anno entro il 31 dicembre) il bilancio preventivo è l’atto più importante per ognuno dei 7900 comuni italiani.

Iniziare l’anno senza aver approvato il bilancio preventivo comporta almeno due conseguenze negative:

1) non si possono impegnare nuovi investimenti

2) non si ha il controllo della spesa corrente, perché ogni mese si può impegnare solo un dodicesimo della spesa dell’anno precedente.

Ne risente quindi la corretta programmazione della spesa nonché – soprattutto – la possibilità di fare gli investimenti che servono alle nostre città.

Quando arrivammo a Palazzo Chigi, il termine per l’approvazione del bilancio preventivo 2013 era stato fissato al 30 novembre.

2013.

Avete capito bene. Lo Stato aveva consentito ai comuni di approvare il bilancio preventivo del 2013 alla fine del 2013.

Decidemmo che questa situazione non solo era dannosa per investimenti e corretta programmazione, ma era financo un segno di inciviltà e di ingiustizia nei confronti dei tanti comuni che invece si facevano in quattro per rispettare le scadenze.

Il meccanismo perverso infatti funzionava per successive proroghe: ogni mese il governo diceva che il termine era quello, poi il giorno prima della scadenza arrivava l’Anci e diceva “non siamo riusciti a farlo; che fai, ci vuoi sciogliere tutti?”.

E si rimandava di un mese. Il giorno prima della nuova scadenza, si ripeteva la stessa scena ignobile. Fino ad arrivare, come successe nel 2013, addirittura a fine anno.

Nel 2018, quando lasciammo Palazzo Chigi, eravamo riusciti gradualmente a portare il termine al 31 marzo. Avendo però incontrato una resistenza che non potete neanche immaginare per quanto era forte.

Come per molti altri versanti di quella stagione che mirava a fare di questo un paese un po’ più normale, quella “conquista” fu rapidamente smantellata. Quest’anno il termine di approvazione dei bilanci preventivi 2023 è stato il 15 settembre 2023.

Perché, col benestare di praticamente tutti i partiti in parlamento, vinceva sempre il motto “E vabbè, dai. Che ci vuoi fare. Pensa alla salute”. Fino ad arrivare poi a casi patologici: c’è una regione italiana dove metà dei comuni ancora devono approvare il bilancio preventivo dello scorso anno.

In tempi di Pnrr e di decine di miliardi di investimenti comunali, tuttavia, era diventata una situazione impossibile da sostenere.

E allora i tecnici del Mef – spesso definiti “burocrati” dalla politica cialtrona – hanno deciso di proporre una norma per risolvere in modo drastico la situazione.

È la norma (regolarmente approvata dalla politica, probabilmente senza neanche averla letta) sul “bilancio tecnico”.

Entro il 15 settembre di ogni anno, il dirigente responsabile del servizio finanziario (chiamiamolo il “ragioniere” per brevità) predispone il bilancio tecnico per l’anno successivo.

Si, avete capito bene, lo fa lui.

Entro il 5 ottobre i responsabili dei servizi comunali comunicano eventuali proposte di modifica (e vale il silenzio-assenso), entro il 20 ottobre il ragioniere recepisce le modifiche compatibili con l’equilibrio finanziario e lo trasmette all’organo politico.

Che ha tempo fino al 15 novembre per modificarlo come ritiene opportuno e trasmetterlo al consiglio comunale, che lo approva – eventualmente modificandolo come ritiene più opportuno – obbligatoriamente entro il 31 dicembre.

Non saranno possibili eccezioni se non rigidamente e adeguatamente motivate con eventi di carattere straordinario ed eccezionale.

Questa riforma è stata approvata qualche mese fa, nel silenzio generale e con il malinconico sorriso di chi, come il sottoscritto, ha sputato sangue per anni tra Palazzo Chigi, il Mef, il Parlamento, la Conferenza Stato-città e il ministero degli Interni per far capire che un paese che permette ai comuni di approvare il bilancio preventivo a fine anno non è un paese ma è una barzelletta.

Ma come spesso accade, in Italia il “problema” scoppia solo quando ci si arriva a ridosso.

E così sta già ripartendo il ritornello: “è una vergogna che la tecnica spogli la politica dei suoi compiti!”, e già si parla di un emendamento per affossare o rimandare (che è la stessa cosa) il tutto.

Allora io chiudo questa lunga storia con una domanda per voi.

Questa storia, questa storia italiana che invece di bilanci comunali poteva parlare di scadenze fiscali, di giustizia, di pubblica amministrazione o mille altre cose, vi dimostra che “la tecnica ha spogliato la politica dei suoi compiti” o piuttosto che in Italia la politica si è dimostrata incapace di affrontare i problemi e risolverli?

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