Quoziente familiare: una scelta sbagliata

Nella scorsa legislatura, nell’ambito dei lavori per la riforma fiscale, la politica ha studiato a lungo il quoziente familiare (le Commissioni Finanze di Camera e Senato passarono sei mesi ad ascoltare esperti, approfondire documenti, discutere, fare sintesi).

Dopo aver studiato, Fratelli d’Italia ha continuato ad essere a favore. TUTTI gli altri partiti erano contrari.

Il motivo è semplice: il quoziente familiare scoraggia l’offerta di lavoro femminile che, assieme alla crescita nulla della produttività, è esattamente il motivo per cui l’Italia da decenni cresce in media molto poco.

Questo a sua volta accade per un motivo ancor più semplice.

Immaginate una famiglia composta da due persone. Ci sono due possibilità: o lavora solo uno (caso 1), o lavorano entrambi (caso 2).

Iniziamo dal caso 1.

Diciamo che chi lavora ha un imponibile di 35.000, quindi ora ha un’aliquota marginale del 35%.

Col quoziente familiare, conta il reddito diviso per due. Quindi 17.500, che ha un’aliquota marginale del 25%.

Anche se poi deve ri-moltiplicare l’imposta risultante per i componenti della famiglia (=2), indubbiamente questa famiglia ci guadagna.

E ovviamente, ci guadagna di più tanto maggiore è il reddito di colui che lavora, perlomeno fino ad un certo punto della scala dei redditi.

Ma il componente che non lavora (che di solito è la donna) ha incentivo a trovare un lavoro?

Nessuno.

Perché se lo fa, il primo euro ha un’aliquota marginale del 25%, perché il meccanismo di somma col reddito del marito colloca quell’euro già al secondo scaglione.

Il caso 2 (entrambi lavorano), se – come purtroppo spesso accade – la donna guadagna meno dell’uomo, ha un effetto persino peggiore: la donna non ha incentivo a lavorare perché il suo reddito – essendo sommato a uno più alto – viene tassato di più rispetto ad oggi.

Finora non vi sarà sfuggito che in questo sistema i vantaggi sono massimizzati nel caso di una famiglia in cui solo uno lavora e – per la progressività delle aliquote Irpef – in cui il reddito di costui è particolarmente alto.

Non un grande obiettivo di policy, ecco.

C’è una possibile obiezione: “non stai considerando una famiglia con figli!”.

È vero: il quoziente familiare favorisce maggiormente le famiglie con più figli.

Ma per raggiungere questo sacrosanto obiettivo ci sono strumenti molto più semplici ed efficaci: l’assegno unico universale introdotto da Elena Bonetti.

Non rende necessario fare calcoli fiscali complicati (quoziente ecc) ma semplicemente dà un assegno ogni mese per ogni figlio che hai, a partire addirittura dal settimo mese di gravidanza. E nella nostra idea, questo assegno deve ulteriormente aumentare.

Per questi motivi, tutte le forze politiche nella scorsa legislatura (tranne FdI) giudicarono il quoziente familiare una scelta sbagliata e votarono di conseguenza.

Cosa sia cambiato oggi – pochi mesi dopo – per Lega e FI non è dato saperlo.

Noi facciamo una controproposta.

Non abbiamo bisogno di scoraggiare l’offerta di lavoro femminile: abbiamo bisogno esattamente dell’opposto. Per cui proponiamo una tassazione agevolata triennale per le donne che entrano (o rientrano) nel mercato del lavoro.

Esattamente l’opposto del quoziente familiare.

Il governo Meloni ha fatto debuttare il quoziente familiare nel (già di per se controverso) caso del Superbonus, ma ha annunciato di volerlo estendere a tutto il sistema fiscale.

In questo post ho cercato di spiegare perché sarebbe un grave errore.

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