Reddito di cittadinanza e sud

I dati pubblicati negli ultimi giorni (da Il Sole 24 Ore e da Youtrend) mostrano una quasi-perfetta sovrapposizione tra zone in cui è più forte la densità di precettori del reddito di cittadinanza e i voti al M5S.

La semplice riproposizione di questi dati sembra creare – in alcuni – molto nervosismo, che sfocia in vere e proprie aggressioni verbali. E chissà, qualcuno magari sogna che siano non solo verbali.

Non si capisce molto il motivo, a dire il vero. 

Lo stesso M5S ha impostato la sua campagna elettorale interamente sulla promessa di mantenere il reddito di cittadinanza (oltre che rendere permanente il Superbonus 110%), girando in lungo e in largo il Sud Italia e dicendo chiaramente che solo ed esclusivamente il voto alla loro formazione politica poteva evitare lo smantellamento di quello strumento.

Il leader del M5S – come si ricorderà – si era spinto fino a minacciare “la guerra civile” in caso contrario, e a invitare politici che la pensavano diversamente a venire al Sud “senza scorta”, lasciando intendere più o meno esplicitamente conseguenze fisiche per chi osava mettere in discussione il reddito di cittadinanza.

Quindi, sebbene la semplice correlazione non implichi la definizione di una relazione causale rigorosamente identificata, è stata la stessa campagna elettorale del M5S a cercare disperatamente di stabilire un legame causa-effetto.

A mio parere, ci sono riusciti. Sia sul reddito di cittadinanza che sulla promessa – del tutto fantasiosa – di rendere permanente il bonus 110% nell’edilizia.

Non c’è nulla di male in tutto ciò, ad una condizione: che si riconosca il diritto a pensarla diversamente.

Vale a dire, che si consideri una legittima opinione – e non un crimine orrendo da punire con l‘aggressione – il pensare che la soluzione al problema del Sud non sia necessariamente l’erogazione di un sussidio con le caratteristiche che ha attualmente il reddito di cittadinanza.

Molti di noi pensano che al Sud vada portato il lavoro, non l’assistenzialismo; le opportunità, non i favoritismi; la crescita, e non l’ “arrangiarsi”; lo sviluppo, e non la mancia.

Come? 

Dando spazio alle energie “senza agganci” che esistono diffuse nel nostro Sud; investendo su una classe dirigente radicalmente nuova e non compromessa con le passate gestioni; definendo chiaramente i diritti di proprietà combattendo senza quartiere la criminalità organizzata; diffondendo il mercato – anziché le relazioni – come mezzo di allocazione di risorse e opportunità. E ovviamente, applicando anche e soprattutto al Sud la ricetta ritenuta migliore nel resto del paese: meno tasse, uno Stato migliore ma meno invasivo, riforme strutturali per migliorare la competitività e allargare le opportunità.

Il dibattito pubblico deve svolgersi con il rispetto delle opposte visioni. Altrimenti saremo costretti a pensare che il “fascismo” di cui tanto si (stra)parla non è dove tutti credono di vederlo, ma in chi sembra concedere diritto di cittadinanza a tutte le opinioni. 

A condizioni che siano uguale alla sua.

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