Le bollette, i ricchi e il “contributo di solidarietà”: che cosa è realmente successo ieri

La lettura dei quotidiani conferma che i “comunicatori” di alcuni partiti sono al lavoro per costruire una conveniente narrazione (in cui, manco a dirlo, Italia Viva è tra i “cattivi”) di ciò che è accaduto ieri.

Vi va di fare chiarezza insieme?

1) CHE È SUCCESSO IERI MATTINA?

Il presidente Draghi e il ministro Franco hanno  ritenuto opportuno convocare una cabina di regia ( = la riunione dei ministri capi-delegazione della maggioranza) allargata ai responsabili economici di ogni partito.

2) PER FARE COSA?

Per discutere di: 

– un’integrazione 

– un cambiamento  

all’intesa politica già raggiunta dalla maggioranza su come spendere gli ormai famosi 8 miliardi relativi al “primo tempo” della riforma fiscale.

3) CHE BISOGNO C’ERA DI INTEGRARE E CAMBIARE?

Il giorno prima il governo aveva incontrato i sindacati, che avevano posto con forza queste due necessità; l’iniziativa quindi non nasce, in ultima analisi, da una insoddisfazione del governo sull’accordo raggiunto ma da una precisa richiesta di una parte sociale.

4) ANDIAMO CON ORDINE: L’INTEGRAZIONE COSA RIGUARDAVA?

Per ragioni tecniche (il meccanismo di saldo e acconto che fa sì che gli autonomi paghino parte dell’Irpef l’anno successivo) il primo anno la riforma dell’Irpef non assorbe l’intero budget annuale ad essa dedicata (7 miliardi) ma lascia a disposizione – una tantum per il solo 2022 – circa 2,2 miliardi. 

Il confronto politico al Mef tra i partiti di maggioranza si era chiuso la scorsa settimana senza uno specifico accordo su come destinare questa dote una tantum: pertanto occorreva una decisione finale.

I sindacati proponevano di utilizzarli non solo per un temporaneo supporto al caro-bollette ma anche – in larga parte – per uno sgravio contributivo a vantaggio dei lavoratori fino ad una determinata soglia di reddito.

5) E I PARTITI DI MAGGIORANZA COSA PENSAVANO DI QUESTA PROPOSTA DI INTEGRAZIONE?

Che fosse una buona idea.

Come detto più volte, i lavoratori delle fasce di reddito più basse già ora praticamente non pagano quasi nulla di Irpef (si veda il grafico postato ieri mattina: quasi zero fino a 10.000 euro annui, meno del 10% a 20.000); è evidente dunque che se si vuole provocare un ulteriore aumento del loro reddito netto occorre diminuire non il cuneo fiscale ( = Irpef ) bensì il cuneo contributivo ( = i contributi previdenziali da loro versati).

Quindi la proposta di “riempire” in questo modo il “buco” che era rimasto dall’intesa politica di maggioranza ha trovato una sostanziale condivisione.

6) BENE. E INVECE IL CAMBIAMENTO DI QUELL’INTESA COSA RIGUARDAVA?

Il “primo tempo” della riforma Irpef (finanziato con 7 miliardi annui) – con la modifica di aliquote, scaglioni, detrazioni per tipologia di reddito e no-tax area – porterà  vantaggi fiscali a tutti i contribuenti: in particolare a quelli molto bassi (che beneficiano dell’allargamento della no-tax area) e a coloro che guadagnano da 35 a 55 mila euro lordi, che come si diceva sopportano un peso eccessivo del totale dell’Irpef.

I sindacati erano – e probabilmente sono – però convinti che per essere veramente “giusta” la riforma non debba portare neanche un euro di vantaggio al milione di italiani con redditi superiori a 75 mila euro.

7) PERCHÉ, QUESTI INDIVIDUI CHE VANTAGGI FISCALI HANNO NELL’IPOTESI DI RIFORMA?

In media circa lo 0,2% del proprio reddito.

Stiamo parlando di circa 20 euro in più al mese, per un totale di 248 milioni.

8 )UN VANTAGGIO MOLTO PICCOLO ALLORA.  MA C’ERA PROPRIO BISOGNO DI DARGLIELO?

In un sistema a scaglioni, quando abbassi le aliquote per i redditi medi e bassi è matematicamente inevitabile fornire qualche beneficio anche ai redditi più alti.

Facciamo un esempio: se sui primi 30.000 euro di reddito pago il 10%, sui secondi (da 30.001 a 60.000) pago il 20% e sui terzi (da 60.001 a 90.000) pago il 30%, se abbasso la prima aliquota da 10% a 5% ne beneficia anche chi guadagna 91.000, perché sui primi 10.000 euro che porta a casa anche lui paga un’aliquota dimezzata.

9) MA QUESTO MILIONE DI ITALIANI SONO “I RICCHI”?

Una ristretta minoranza (meno di centomila persone) può sicuramente dirsi ricco, perché guadagna più di 200.000 euro lordi. 

Ma la maggior parte degli altri certamente no. Circa la metà di loro guadagna meno di 100.000 euro all’anno; stiamo parlando, netto in busta paga, di una cifra che balla intorno ai 3.000 euro al mese.

Sono funzionari pubblici, quadri di aziende, professori universitari a metà carriera. E se, come molte famiglie, hanno un importante mutuo o affitto da pagare (o magari sono separati e hanno spese importanti da sostenere) spesso si tratta di persone che magari arrivano senza alcun tipo di problema a fine mese: ma chi li rappresenta come versioni nostrane di Jeff Bezos o Mark Zuckerberg non sa di cosa sta parlando.

10) MA IN FONDO A COSTORO NON SI SAREBBE TOLTO NULLA, SEMPLICEMENTE NON SI SAREBBE DATO UN MINIMO VANTAGGIO FISCALE. ERA COSI SBAGLIATO?

Secondo molti di noi si. E per un motivo piuttosto semplice.

In un anno in cui dedichi 8 miliardi annui ad abbassare le tasse (lo sforzo più importante dagli “80 euro” di Renzi nel 2014, che impiegarono circa 10 miliardi annui), sarebbe stato veramente curioso dire “tutti avranno vantaggi tranne un milione di persone, che non meritano neanche un euro”.

Lanciando il segnale che gli individui di cui sopra (funzionari, quadri ecc) siano i “nemici”  da combattere, e non lo siano invece gli evasori, le multinazionali che pagano di tasse come il bar all’angolo, o chi vive di rendita beneficiando di sostanziosi – e non sempre giustificati – vantaggi fiscali. 

E l’idea insomma – già incontrata altre volte – che non si debba combattere la povertà, ma punire la ricchezza; con l’aggravante di non saperla neanche, davvero, riconoscere.

Soprattutto se le risorse così risparmiate (248 milioni) avrebbero visto un impatto diciamo così… non proprio risolutivo.

11) CHE VUOI DIRE? COSA SI VOLEVA FARE DEI 248 MILIONI RISPARMIATI “PUNENDO I RICCHI”?

Avrebbero incrementato le risorse già stanziate (3,5 miliardi sul 2021 + 2 miliardi sul 2022) per contrastare il caro-bollette.

Ma potete giudicare da soli se 248 milioni – su queste cifre, e soprattutto sull’entità del caro-bollette in vista, ahimè – avrebbero giocato un ruolo decisivo nell’aiutare i più deboli.

Facciamo due conti. Secondo l’Istat, ci sono 2,6 milioni di famiglie sotto la soglia di povertà relativa.

Diciamo che avremmo distribuito loro quei 248 milioni (ottenuti privando “i ricchi” dei loro minimo vantaggio fiscale), per aiutarli nel caro-bollette: sarebbero stati meno di 8 euro al mese. 

E molti di meno se, come probabile, a ricevere un sostegno avrebbero dovuto essere anche altri milioni di famiglie e piccole imprese che stanno per chiudere. Ecco perché il sostegno al caro-bollette, purtroppo, si deve e si dovrà misurare in miliardi, non certo in milioni.

Se qualcuno ci avesse proposto di fare quest’operazione per – che ne so – acquistare un carico addizionale di vaccini che avrebbero completato con efficacia la campagna, nessuno di noi credo avrebbe avuto il minimo dubbio.

Ma fatta in questo modo, non avrebbe avuto nessuna utilità pratica. 

Solo simbolica. E neanche, tutto sommato, un gran bel simbolo, come provato a spiegare finora.

Detto ciò, la decisione politica è stata comunque quella di trovare risorse addizionali da dedicare al caro-bollette, e anche in misura maggiore (300 milioni, contro i 248); semplicemente, senza reperirli in questo modo.

12) VENIAMO AL METODO. È VERO CHE I SINDACATI NON SONO STATI ASCOLTATI?

Niente affatto. 

I sindacati hanno avuto plurime e costanti interlocuzioni col governo, e sono stati ascoltati per diverse ore – assieme alle altre rappresentanze sociali – nel percorso parlamentare delle Commissioni Finanze che ha portato (da gennaio a giugno) alla riforma fiscale.

Così come sono stati ascoltati – tramite la richiesta di precisi contributi scritti in cui dettagliare punto per punto le loro proposte pratiche – nel cammino (in corso) di esame parlamentare del disegno di legge delega sulla riforma fiscale, che proprio dal percorso parlamentare di gennaio-giugno prende le mosse. 

13) VABBÈ HO CAPITO, E CI MANCHEREBBE PURE. MA E’ VERO CHE NON AVETE MAI TENUTO IN CONSIDERAZIONE LE LORO IDEE?

Tutt’altro. Nella (composita) maggioranza che sostiene il governo Draghi c’erano almeno due grandi partiti che volevano destinare alla riduzione dell’Irap la metà degli 8 miliardi disponibili.

I sindacati la pensavano diversamente, e abbiamo fatto come chiedevano loro.

Nella (composita) maggioranza c’era anche chi voleva un intervento diverso sull’Irpef, che desse molti più vantaggi al ceto medio.

I sindacati la pensavano diversamente, e abbiamo fatto come chiedevano loro, concentrando i vantaggi su lavoratori dipendenti e pensionati sotto i 50.000 euro annuì.

Nella (composita) maggioranza c’era anche chi non voleva utilizzare risorse per i pensionati, ma per stimolare il lavoro.

I sindacati la pensavano diversamente, e abbiamo fatto come chiedevano loro.

Nella (composita) maggioranza, c’era chi voleva dare altri soldi alle imprese.

I sindacati la pensavano diversamente, e abbiamo fatto come chiedevano loro.

E potrei continuare, anche su altri campi non fiscali.

14) SCUSA, E ALLORA PERCHÉ SI LAMENTANO?

Ho l’impressione che i sindacati abbiano tentato un’operazione diversa. 

Ad accordo politico chiuso, volevano dimostrare che sono in grado – con la sola imposizione delle mani – di far cambiare una decisione politica unanime.

Io penso che sia miope una politica che non ascolti e non discuta con le parti sociali (tutte, non solo i sindacati).

Ma penso anche che, in una democrazia liberale, dopo aver completato il percorso di analisi, confronto e discussione, debba essere la politica (governo e maggioranza) a decidere.

Poi ovviamente, ognuno può reagire come meglio crede a queste decisioni.

15) ALCUNI ESPONENTI POLITICI ACCUSANO “ITALIA VIVA” DI “AVER VOTATO CON LA DESTRA” IN QUESTA CIRCOSTANZA.

Non ci sono stati voti, solo normalissime discussioni – prima in “cabina di regia” poi in consiglio dei ministri – come necessario quando c’è da prendere una decisione, in particolare se implica la spesa di importanti risorse.

E ad essere contrari alla “punizione dei ricchi” non era solo – oltre a Italia Viva – il centrodestra, ma anche il M5S (anche se il ministro Patuanelli, contro l’indicazione del suo partito, pare che in consiglio dei ministri abbia all’inizio espresso una valutazione diversa).

Ma soprattutto, anche qui “destra” e “sinistra” c’entrano poco: come provato a spiegare spero con sufficiente chiarezza, l’operazione era largamente deficitaria sotto tutti i punti di vista, a cominciare da quello dell’utilità pratica (che spero sia quello più importante).

A quegli esponenti politici che, al solito, cercano di utilizzare questa vicenda per buttare fango su Italia Viva, sono io piuttosto a rivolgere una domanda: perché un’intesa sul fisco costruita, approvata ed entusiasticamente sottoscritta anche da loro pochi giorni fa (e commentata positivamente sulla stampa) all’improvviso è diventata una cosa da cambiare assolutamente?

Io penso che chi va a rimorchio passivo di posizioni altrui – per “richiamo della foresta” o forse semplicemente un po’ di paura – non faccia politica in modo libero e autonomo.

E penso quindi abbia un problema ben più grande di quello che può o potrà mai rappresentare per lui Italia Viva.

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