“Niente fondi per Napoli, meglio la via del dissesto con norme innovative”

Intervista per Il Mattino

«Un fondo ad hoc per Napoli non è realistico: meglio dichiarare subito il dissesto ma con nuove norme da varare subito». spiega Luigi Marattin, deputato di Italia Viva (è presidente della commissione Finanze) e docente a Bologna di economia politica. «Altrimenti non ne usciremo mai», aggiunge.

Perché giudica sbagliata un’iniezione di fondi per Napoli?
«Anzitutto si crea un problema di disparità con altri comuni in situazione analoga e pertanto rende politicamente insostenibile la situazione. Senza contare come, con ogni probabilità, non sarebbe una soluzione strutturale, ma l’ennesimo pannicello caldo. Utile a rimandare, come accade da quasi dieci a Napoli, ma non a risolvere».

Eppure i fondi rientrano nel famoso Patto per Napoli promesso da Conte, Letta e Speranza per far candidare Manfredi. E Italia viva sosteneva l’ex rettore.
«Io sono contentissimo che si sia candidato, il sindaco migliore che Napoli poteva avere, però è evidente che quella era una promessa fatta da Conte in maniera molto disinvolta. E il problema sta anche nell’aver creduto alle promesse che sono state fatte dal precedente governo…».

Cosa propone in alternativa?
«Un nuovo Patto, se preferiamo chiamarlo così».

Ovvero?
«La politica nazionale riforma, subito in legge di bilancio e quindi con effetti dal primo gennaio le attuali discipline: del pre-dissesto e del dissesto. In particolare, i comuni fanno ricorso alla procedura del dissesto, come metodo ordinato per sistemare i conti del passato e ricominciare daccapo. Che poi è quello che chiede Gaetano Manfredi. Sono invece per l’abolizione totale della formula del pre-dissesto».

Perché?
«È stato un fallimento totale. finendo per essere solo un modo per tenere permanentemente in sala di rianimazione un paziente malato. Tipica, e pessima, abitudine italiana a rimandare, e non a risolvere».

Torniamo al dissesto: come si modifica l’attuale disciplina?
«Scopo della riforma è rendere il dissesto non più uno “stigma punitivo”. ma una soluzione a problemi strutturali, contemperando più attentamente due sacrosante esigenze. Ovvero quella del comune di poter ripartire daccapo, dimostrando di aver rimosso le cause che hanno portato all’insostenibilità dei conti e quella delle finanze pubbliche di non pagare un assegno in bianco a chiunque, correndo il rischio di incentivare comportamenti sbagliati. Una riforma accurata in cui coinvolgere sia tutte le forze politiche che l’Anci».

Da economista però sa bene come con il dissesto vengono praticamente congelate le casse del comune in questione.
«È così. Oggi le norme prevedono come nel primo anno del dissesto, si possono sostenere solo spese per servizi espressamente previsti per legge e occorre portare al massimo, e per 5 anni, tasse e tariffe locali. E, ancora, collocare in disponibilità i dipendenti in eccesso rispetto alla media dei comuni di analoga dimensione».

Converrà che sarebbe una paralisi che Napoli non può permettersi.
«Tutti questi vincoli possono essere sostituiti da alcuni interventi specifici per la situazione dell’ente, definiti in maniera veloce e non burocratica, che riescano a correggere gli squilibri strutturali che hanno portato il comune nella situazione in cui si trova. Ciò non esclude che possano essere vincoli stringenti: ma almeno sono veloci, specifici per ogni ente, e non impediscono la ripartenza. Ci sono poi alcuni limiti transitori che valgono fino a quando non viene approvato il “bilancio stabilmente riequilibrato”, cioè il primo bilancio del “nuovo ente”, come nel caso di Napoli dove il sindaco si è appena insediato».

Norme a parte, dal punto della strutturazione dei debiti?
«Occorre istituire un fondo stabile, con risorse certe in modo da fornire sicurezza pluriennali al comuni che intraprendono questa strada. Si potrebbe studiare di formalizzare meglio la fase di negozi azione con i creditori del comune e sarebbe interessante studiare forme di estensione agii enti locali delle misure previste per il mondo dell’impresa. In poche parole, va favorito e regolamentato il processo di accordo con i creditori, e di contestuale estinzione della parte residua del debito. Ovviamente uno strumento del genere è molto potente e andrebbe usato con cautela: prevedendo che possa essere usato una sola volta e sotto il rigido controllo della Corte del Conti».

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