Il taglio delle tasse sarà effettivo dal 2023. La richiesta del Parlamento è tagliare e semplificare

Intervista per Tiscali


Intervista con Luigi Marattin (Iv), presidente della Commissione Finanze che ha consegnato al premier Draghi e al ministro Franco la relazione conclusiva, votata da tutti esclusa Leu. Ma qualcosa si può e si deve fare subito. La proposta: “Abolire l’Irap e lasciare l’Ires. Usando un tesoretto di circa tre miliardi”.  Il partito unico del riformismo italiano è fallito. “Ora è il tempo una nuova offerta politica per i liberal-democratici” 

Presidente Marattin, è la volta buona per una vera riforma fiscale o ci sarà il solito rinvio?

 “In ultima analisi dipende dalle forze politiche, come sempre. Io spero che il dibattito di questi mesi sia riuscito a dimostrare che lo stato attuale del sistema fiscale (sia per quanto riguarda la sua complessità che per quanto concerne il peso eccessivo sui fattori produttivi) è uno dei principali fattori che impedisce all’economia italiana di dispiegare le sue potenzialità. Prova ne sia che l’ultima vera riforma risale a mezzo secolo fa. Se le forze politiche, quindi, sono convinte che sia questo il periodo in cui l’Italia mette mano a tutti i fattori di blocco che negli ultimi decenni hanno compromesso il potenziale di crescita (dalla giustizia alla pubblica amministrazione, dalla mancata transizione digitale al pianeta formativo, dalla concorrenza alle infrastrutture), allora ne deriva che la riforma fiscale non può essere rinviata. Anche perché non so quando ritorneranno le attuali – e favorevoli – condizioni, sia economiche che politiche”. 

Avete lavorato sei mesi, decine e decine di audizioni, e ora siete arrivati alla Relazione finale che sarà la cornice per la legge delega. Due domande sulla relazione. La prima: ci può spiegare a grandi linee l’impianto della proposta? I punti qualificanti.

“I pilastri della riforma, per quanto ci riguarda, sono i due obiettivi di fondo, quelli che devono essere usati come “filtro” per ogni intervento che comporrà in concreto la riforma: semplificazione del sistema e stimolo alla crescita.

 Sul primo punto, proponiamo di ridurre le norme fiscali e concentrarli in pochi e chiari codici, di cancellare decine di tributi minori che servono solo a complicare il sistema, di elevare a rango costituzionale alcuni punti dello Statuto del contribuente per dare maggior certezza al sistema, di ridurre la distanza tra bilancio civilistico e bilancio fiscale per le imprese, di semplificare la struttura dell’Irpef (divenuta oggi un vero e proprio ginepraio inestricabile), di adottare un sistema duale più chiaro per distinguere il trattamento fiscale dei redditi da lavoro da quello dei redditi di impresa e capitale”.

E per la crescita?

Proponiamo diversi interventi: innanzitutto ridurre il carico fiscale sui redditi medio bassi, che oggi sono gravati da un peso non solo eccessivo ma che cresce troppo velocemente a livelli di reddito ancora bassi. Poiché parte del gap di crescita italiano risiede nella scarsa offerta di lavoro femminile (inferiore di più di dieci punti alla media Ue) proponiamo una tassazione agevolata per il secondo percettore di reddito all’interno del nucleo familiare (che quasi sempre è di sesso femminile). Per le imprese poi abbiamo un menu corposo: un tassa piatta anche per le imprese più piccole che trattengono gli utili in azienda, uno “scivolo” agevolato per gli autonomi che vogliono superare la soglia del regime forfettario (che altrimenti non supererebbero mai), l’abolizione dell’Irap”.

La seconda domanda: come è possibile che abbiate fatto questo grande e importante lavoro senza mezza polemica politica? Su un tema divisivo come quello fiscale  

“Per tanti anni la politica ha parlato di fisco solo con l’agenzia pubblicitaria che si occupava di trovare lo slogan sul manifesto elettorale (“meno tasse per tutti”, “flat tax”, “anche i ricchi piangano” ecc), o nella poco edificante gara a chi la sparava più grossa, con l’occhio al sondaggio del lunedì per capire se la scelta fruttava qualche decimale di consenso. Stavolta, tutti insieme, abbiamo scelto un approccio diverso. Per sei mesi, al riparo dalle tentazioni mediatiche, abbiamo ascoltato parti sociali, istituzioni ed esperti; abbiamo studiato, approfondito, discusso, ragionato. Lo abbiamo fatto tutti insieme, persino superando le nostre appartenenze politiche e con il contributo e lo sforzo costruttivo di tutti, nessuno escluso. Senza fretta e senza l’ansia da prestazione, o da tweet. E alla fine, solo alla fine, abbiamo fatto lo sforzo di trovare un massimo comune denominatore su cui riconoscerci.  E’ un metodo faticoso, certamente meno remunerativo nel breve periodo rispetto alla caciara da slogan, ma che credo alla lunga sia più utile al paese. Spero non rimanga un’esperienza isolata, ma che possa gradualmente diventare la normalità. Di nuovo, sta solo a noi volerlo”.

Quindi tutti d’accordo in maggioranza? Oppure quando premier e ministro porteranno la riforma in Consiglio dei ministri qualcuno, al solito, scatenerà l’inferno? 

“Finora l’unico partito di maggioranza che ha preso le distanze dal lavoro parlamentare (astenendosi sul documento conclusivo) è Leu, con cui oggettivamente sembrano permanere differenze significative nell’approccio al tema fiscale. Ma io credo e spero che, con un sovrappiù di sforzo da parte di tutti, si possa portare a bordo anche loro. Sul resto, beh, non credo che ci sia nessun essere umano in grado di prevedere o assicurare questa o quella reazione dai partiti di questa ampia maggioranza, specialmente nelle vicinanze di una tornata elettorale. Posso solo limitarmi a dichiarare l’ovvio: se, come il ministro Franco ha annunciato in audizione lo scorso luglio, la legge delega ricalcherà i contenuti del lavoro parlamentare, non vedo perché gli stessi partiti che hanno votato novanta giorni fa il documento in parlamento non debbano votare la legge delega in Consiglio dei ministri”.

Il ministro Franco parla di taglio del cuneo e dell’Irpef al futuro, come se fossero già rinviati al 2022 e quindi effettivi dal 2023. Quando i cittadini potranno sentire gli effetti del taglio delle tasse nelle loro tasche?  

“I contenuti della legge delega, calendario alla mano, vedranno applicazione pratica non prima del 2023: la delega, infatti, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri, deve essere approvata da entrambi i rami del Parlamento, poi il governo deve realizzare e approvare i decreti legislativi che a loro volta avranno un passaggio nelle commissioni parlamentari (senza dimenticare la parte amministrativa dell’implementazione del nuovo sistema fiscale). Questo però non vuol dire che alcune parti della riforma fiscale non possano essere anticipate nel 2022, inserendole nella Legge di Bilancio che il governo presenterà tra un mese e che il parlamento discuterà in autunno. Anche perché ci sono già stanziati e disponibili 2,3 miliardi, che con il forte miglioramento del quadro macroeconomico è plausibile pensare possano diventare circa 3. Io qualche idea su come spenderli, per anticipare la Grande Riforma, ce l’avrei”.

Lei propone di tagliare subito l’Irap e di lasciare solo l’ Ires. Può spiegare come e perchè? 

“Quella del superamento dell’Irap è una delle proposte del lavoro parlamentare su cui si è verificato il consenso più ampio tra i partiti, così come tra i 61 auditi. Nel momento in cui si dichiara che uno dei due obiettivi fondamentali della riforma è lo stimolo alla crescita, infatti, riesce difficile mantenere un’imposta che colpisce i motori della crescita: lavoro – anche se Renzi escluse nel 2015 il costo del lavoro a tempo indeterminato – e capitale. Le imprese private pagano ogni anno circa 15 miliardi di Irap. Di questi, 12 vengono dalle imprese più “grandi” (le società di capitali), che sono anche soggetti Ires. E i rimanenti 3 dalle imprese più “piccole” (le società di persone, le ditte individuali, gli autonomi che non sono nel regime forfettario, gli studi professionali, ecc), che invece non sono soggetti Ires. Per i più grandi quindi, l’operazione è facile, e trova il pieno consenso degli interessati: abolire l’Irap ma compensarla con l’Ires, in modo da eliminare una tassa (e gli annessi obblighi dichiarativi) e semplificare il sistema. Per i più piccoli, perché non usare subito i 3 miliardi già disponibili sul 2022 per abolirla del tutto? Così facendo per loro si realizzerebbe non solo una semplificazione, ma anche un consistente sgravio fiscale. Che sarebbe giusto e utile, soprattutto se consideriamo che sono stati i soggetti più esposti e meno tutelati durante la pandemia. Quindi una parte importante della riforma fiscale (l’abolizione dell’Irap) può realizzarsi già dal 1° gennaio 2022, e a costo zero. Chi ci sta?”

Avete interloquito con Draghi e Franco prima di scrivere le conclusioni? Avete avuto modo di confrontarvi dopo?

“Sul “prima”, il governo è stato estremamente rispettoso del lavoro del Parlamento, e lo ringrazio. Non solo non ha mai interferito, ma – diversamente da quanto ha fatto in altri ambiti (ad esempio la giustizia) – non ha nominato una commissione esterna ma ha voluto aspettare i risultati del lavoro parlamentare. Ovviamente non è mancata l’interlocuzione informale e il dialogo costruttivo, ma nel pieno rispetto dei ruoli. Sul “dopo”, il ministro Franco è venuto in audizione il 22 luglio scorso, dichiarando che il governo condivide l’impianto del documento parlamentare. Ovviamente però, lo stesso rispetto che il governo ha dimostrato verso il Parlamento deve ora essere “ricambiato”, nel senso che la legge delega è responsabilità del governo e dell’equilibrio che esso troverà al proprio interno. Noi la aspetteremo in Parlamento quando arriverà, garantendo quella stessa piena lealtà e collaborazione che c’è stata finora”.

La relazione Ocse, tra le altre cose, indica la strada delle agevolazioni ed esenzioni fiscali. La vostra Relazione cosa prevede su questo punto? Quella sul taglio delle tax expenditures è un’altra novella senza fine 

“Abbiamo previsto che vengano semplificate e ridotte, anche con un meccanismo intelligente: un sistema immediato di pagamento dell’agevolazione direttamente sulla carta di credito, anziché in dichiarazione dei redditi l’anno dopo. Ma non voglio girarci intorno: riusciremo ad aggredire quel problema solo a tre condizioni. La prima è che l’Irpef sia davvero azzerata e ridisegnata daccapo (e non semplicemente aggiustata al margine), perché solo così si potrà fare tabula rasa di tutte le centinaia di agevolazioni presenti. La seconda è che i partiti abbiano il coraggio di ignorare le proteste dei singoli (spesso minuscoli) portatori di interesse, e guardino alla diminuzione della pressione fiscale complessiva. Che è appunto la terza condizione…eliminare le tax expenditures, di per sé è un aumento di pressione fiscale…che quindi potrà essere tollerato solo se sull’altro piatto della bilancia ci sarà una maggiore (e di parecchio) riduzione del peso complessivo del fisco, che alla fine faccia pendere la bilancia dalla parte del portafoglio del contribuente”.

Ocse dice anche stop a Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Come andrà a finire su questi due capitoli?

Questi due temi sono un primo test per capire se la politica italiana è cambiata (e quindi riesce ad affrontare i temi con maturità e basandosi sulla realtà) o se è sempre la stessa (cioè preferisce le bandierine e il tifo da stadio). I dati, infatti, sono impietosi su entrambe queste sciagurate misure volute dal Conte I.

Quota 100 ha beneficiato meno di un terzo di coloro ai quali si rivolgeva, finendo per dare un privilegio a qualche centinaio di migliaio di individui, soprattutto uomini, del Nord e con un reddito medio-alti. Ciononostante, alle tasche degli italiani è costata 30 miliardi, inteso come costo cumulato fino al 2028. Per non parlare della barzelletta secondo cui per ogni pensionato dovevano essere assunti tre giovani, uno slogan con cui ci hanno riempito tv e social per mesi. A conti fatti, per ogni pensionato sono stati assunti meno di 0,4 giovani. E ha creato una spaventosa iniquità, trattando allo stesso modo grandi dirigenti pubblici e operai o turnisti”.

E il Reddito di cittadinanza?

“Doveva abolire la povertà, come annunciato dal balcone di Palazzo Chigi nel settembre 2018 in una delle scene più imbarazzanti dell’epoca repubblicana. La povertà da allora è aumentata, e anche se – come è giusto fare – ci limitiamo all’epoca pre-Covid, vediamo che l’effetto è stato minimo: l’incidenza si è ridotta appena dello 0,6%. Ad aver trovato un lavoro a tempo indeterminato sono stati solo il 3,8% degli abili al lavoro, ed è plausibile pensare che lo abbiano fatto non grazie ai navigator, ma nonostante i navigator. Così come, per il modo in cui è disegnato, ha provocato notevoli distorsioni sul mercato del lavoro, aumentando l’incentivo al lavoro in nero e facendo mancare manodopera in molti settori”.

Matteo Renzi, leader di Italia viva, il suo partito, ha presentato un referendum per abrogare la norma. 

“Italia Viva pensa che sarebbe irresponsabile limitarsi alla denuncia del fallimento di queste due misure. Abbiamo pertanto due proposte concrete su entrambi i punti. Sulle pensioni, rendiamo strutturale e allarghiamo l’Ape social, che consente a coloro che hanno svolto lavori gravosi e usuranti di andare in pensione a 63 anni; per gli altri, valutiamo un sistema flessibile che consenta a chi vuole di pre-pensionarsi ma solo con la parte contributiva. E sul sussidio alla povertà, rimoduliamo il sussidio coinvolgendo i comuni, modificando la scala di equivalenza per avvantaggiare le famiglie numerose e aumentiamo il sussidio nelle grandi aree metropolitane dove il costo della vita è più alto, per garantire a tutti lo stesso potere d’acquisto. E poi introduciamo l’imposta negativa per i working poors (più dichiari più lo Stato ti porta ad un livello di reddito decente) e riportiamo allo Stato la competenza-lavoro, per fare una vera riforma delle politiche attive, basata sull’assegno di ricollocazione”.

Questo esula dalla vostra relazione. Però il tema è molto annodato con fisco, lavoro e ripresa. La riforma degli   ammortizzatori sociali è ferma perché non si è capito chi ci dovrà mettere i soldi. Si troveranno i fondi per questo e non per il taglio delle tasse?

“Gli ammortizzatori sociali sono, in parte, un meccanismo assicurativo: finanziati cioè anche dai contributi versati da imprese e lavoratori, che pagano un premio per poter usufruirne in caso di necessità. Se si vuole estendere il beneficio degli ammortizzatori sociali, dunque, occorre estenderne anche il costo. La mia impressione è che erano tutti in festa sul primo punto, ma che l’entusiasmo si sia molto raffreddato quando si è passati al secondo. Salvo ovviamente rivolgersi – guarda un po’ – a Pantalone, per chiedergli di finanziare il tutto con soldi pubblici. Ma se chiede a me, a titolo personale, non ho nemmeno un dubbio: tutte le risorse disponibili devono essere indirizzate al massiccio taglio delle tasse”.

Infine, Marattin, le chiedo qualcosa di meno tecnico e più politico: come sta il riformismo nel centrosinistra italiano? Soprattutto, dove abita?

“Ne ho parlato sabato a Orvieto per l’assemblea annuale dell’associazione di cultura politica “Libertà Eguale” , quella di Enrico Morando, dove sono nato e cresciuto politicamente insieme ad Antonio Funiciello, Tommaso Nannicini, Marco Leonardi e tanti altri protagonisti di oggi. Non senza travaglio personale, perché è la sfida su cui ho basato tutto il mio impegno politico fin da ragazzo, ma credo che la sfida di creare in Italia un unico partito dove fondere i riformismi, sia per il momento fallita. Perché la precondizione per poter avere un partito del genere è quella che, ad esempio, si realizza nel Labour Party o nel Partito Democratico USA: a congresso si scontrano, anche duramente, l’approccio socialdemocratico e quello liberaldemocratico, ma chi vince poi ha la piena agibilità per impostare la linea politica per quattro anni. In Gran Bretagna è successo così persino quando a scontrarsi sono stati due fratelli (Ed e David Milliband). Io credo sia venuto il momento di prendere atto che tutto ciò è impossibile in Italia, dove invece un minuto dopo la fine del congresso lo sport preferito è distruggere la linea politica del segretario e lo stesso segretario. Credo che la divaricazione tra approccio socialdemocratico (quello che vuole bloccare licenziamenti e delocalizzazioni con norme di legge, chiede la patrimoniale, sogna la mera redistribuzione delle risorse senza preoccuparsi della loro creazione ecc.) e approccio liberaldemocratico sia ormai divenuta troppo ampia e inconciliabile, e che sia possibile solo con regole di convivenza interna che in 15 anni sono state sistematicamente violate. Per questo sono convinto che il quadro politico italiano beneficerebbe molto dalla creazione di tre offerte politiche culturalmente più omogenee, e più rispondenti a quelle che sembrano essere le sensibilità politiche del mondo di oggi, non solo in Italia: quella nazional-sovranista, quella socialdemocratica e quella liberaldemocratica. Che possono confrontarsi alle elezioni con qualunque sistema elettorale. Le prime due, mi sembra, già esistono. La terza è ancora tutta da costruire e spero inizieremo presto a farlo per davvero”.

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