Anche quest’anno non è stato facile, ma il risultato è stato raggiunto.
Nel 2015 – sebbene in un ruolo tecnico – mi feci promotore di un ridisegno, razionalizzazione e potenziamento degli incentivi alle fusioni dei comuni.
Eliminammo – per i comuni che decidessero di dar luogo a una fusione – la sospensione dell’allora vigente patto di stabilità interno (che poi abolimmo per tutti gli enti locali nel 2017), e moltiplicammo invece gli incentivi monetari: da quell’anno, se due o più comuni decidono di fondersi, avranno diritto – per 10 anni – al 60% dei trasferimenti statali che ricevevano nel 2010. In aggiunta, ovviamente, ai trasferimenti “ordinari”.
Questo perché se vuoi incentivare un comportamento virtuoso, non devi esentare dalle regole: devi dare soldi.
Quell’incentivo ha funzionato: il numero di comuni italiani in pochi anni è sceso da 8100 ai circa 7900 attuali. Non male, se consideriamo che in alcuni casi le fusioni – essendo giustamente sottoposte in ultima analisi a referendum popolari – non vengono poi approvate dal popolo sovrano.
Per mantenere questa promessa che lo Stato ha fatto alle comunità fuse, occorre ogni anno adeguare leggermente il budget previsto.
Il motivo è molto semplice: se stanzio 100 euro ogni anno per dare 10 euro a 10 persone, se le persone diventano 12, il contributo diventa 8,3 (e non più 10 come previsto).
Vale a dire, se – magari proprio in conseguenza del funzionamento dell’incentivo – i comuni fusi aumentano più del previsto, per evitare che il contributo promesso scenda, occorre adeguare leggermente lo stanziamento nel bilancio dello Stato.
Quest’anno c’era bisogno di solo 6,5 milioni di adeguamento, per permettere alle centinaia di comuni fusi di mantenere in bilancio il contributo che era stato loro promesso dallo Stato.
E questo adeguamento è contenuto nell’articolo 52, comma 3, del Dl Sostegni-bis pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale.
In ultima analisi la decisione se fondersi o meno spetta ai cittadini di quei comuni tramite referendum, ed è sacrosanto che sia così.
Ma molti di noi pensano che la scelta di fondersi – per creare comuni di dimensione sufficiente ad affrontare da protagonisti la sfida dello sviluppo – debba essere incentivata dallo Stato con impegni solidi, concreti e credibili.