Una prima opinione sulla SuperLega

La questione è complessa, e conviene continuare a riflettere bene. Anche se così tanti sembrano avere già le idee chiare, beati loro.

Nel frattempo, una considerazione preliminare, e una prima provvisoria lista di rischi e vantaggi.

1) La considerazione preliminare.

Tutti coloro che amano il calcio, lo fanno perché è forte veicolo di emozioni, di appartenenza, di sogni di riscatto.
Tutte cose che, strutturalmente, non si conciliano con considerazioni economiche. Il che rende tutto maledettamente più difficile, e spiega anche perché – fin dai minuti successivi l’annuncio – abbiamo osservato fior fiore di politici gettarsi a capofitto sulla vicenda, tentando di sfruttare l’ondata di emotività per guadagnare qualche consenso.

Tuttavia se vogliamo analizzare la questione seriamente – e non solo per fare caciara- occorre ricordare che il calcio, come tutti gli altri sport, non è un bene pubblico offerto direttamente dallo Stato e finanziato dalla fiscalità generale (come l’istruzione di base, la giustizia, la difesa nazionale, l’organizzazione del settore pubblico).

Se lo fosse, sarebbe giustificato astrarre da considerazioni di mercato. Ci si potrebbe all’apparenza un po’ più legittimamente concentrare solo su “poesia” e “sentimenti”, almeno fino a quando i tifosi si dovessero rendere conto di pagare quella poesia e quei sentimenti con le loro tasse.

Ma niente di tutto questo accade (purtroppo o per fortuna lascio a voi giudicarlo), e il calcio e’ sempre stato mosso dalla logica di mercato. Domanda, offerta, prezzo.

In quest’ottica, appaiono quindi totalmente ridicole alcune posizioni espresse in queste ore, che cercano di costruire un dualismo tra i promotori della Superlega (biechi capitalisti selvaggi espressione dei poteri forti e oscuri) e la UEFA/FIFA (angelici difensori del proletariato no profit e dediti solo a coltivare i nostri sogni).
Consiglio la lettura del libro di Michel Platini, su questo ultimo aspetto. E rinnovo l’invito a non prenderci in giro, cortesemente.

Si tratta quindi di dinamiche di mercato.
Chi fosse disturbato da tale banale considerazione di fatto, è pregato di avanzare la proposta di nazionalizzare il calcio professionistico e finanziarlo con la fiscalità generale. E’ già pronto pure lo slogan: “Calcio bene comune!”.

Altrimenti occorre “solo” capire quale configurazione di mercato sia più utile nel breve e nel lungo periodo al fine di soddisfare al meglio gli utenti.

Cerchiamo quindi di analizzare rischi e vantaggi di un’opzione del genere: la creazione di una Superlega con le 20 migliori squadre europee (15 fisse + 5 selezionate sulle base dei migliori risultati dell’anno precedente).

2) Possibili rischi

a) la creazione di un nuovo e più ristretto torneo a livello europeo creerebbe una indubbia differenziazione tra i club: da una parte coloro che partecipano alla competizione “dei migliori”, dall’altra quelli che rimangono alla competizione nazionale. Infuria il dibattito su quanto in realtà non sia già ora una situazione di fatto, ma indubbiamente si pone il tema sulle pari opportunità di accesso nel lungo periodo al torneo dei “migliori”. Sono garantite? E come?

b) vi è poi un problema relativo alle altre due competizioni attualmente esistenti: Champions League e Europa League. Che fine farebbero? Quale sarebbe, in parole povere, il nuovo assetto delle competizioni calcistiche continentali a livello di club?

3) Possibili vantaggi

a) aumenterebbe il valore generato, perché la domanda potenziale (in ultima analisi riferita a quanti spettatori assisterebbero) sarebbe enormemente maggiore. Tale valore sarebbe in primis distribuito tra i club che vi partecipano (in fondo sono loro che lo generano!), ma non è escluso che possano essere raggiunti accordi in tal senso.

b) per creare una vera e propria cittadinanza europea, abbiamo anche bisogno di scuole europee, di mezzi di informazione europei, di competizioni sportive settimanali europee. È un processo lunghissimo arrivare a rispondere “sono europeo”, quando ti chiedono da dove vieni. E ci arriveremo forse solo tra un paio di generazioni. Ma per quanto possa suscitare alzate di sopracciglio e ilarità tra qualche intellettuale da salotto, un sentire comune europeo si costruisce anche così.

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