Penso da molti anni che qualcosa si sia rotto a inizio Anni Novanta per quanto concerne la formazione, selezione e ricambio della classe dirigente tutta, ma in particolare politica (un percorso che si è solo aggravato – ma non certo iniziato – nell’ultimo decennio).
Una delle conseguenze più evidenti è stata aver perso completamente i contorni della distinzione tra “tecnica” e “politica”.
Con la progressiva perdita di competenze da parte della classe politica, infatti, si è affermata la tendenza a credere che il “tecnico” fosse colui che quelle competenze – in qualsiasi ambito – le possiede. Mentre il “politico” fosse colui che, residualmente, può dedicarsi ad altro.
Questo “altro” può assumere varie forme: decantare obiettivi generali (“facciamo qualcosa per i giovani!”, “difendiamo l’ambiente”!), tanto poi al “come” ci pensano i tecnici; preoccuparsi di assetti congressuali, o di attribuzione di ruoli. Molto spesso ad esempio mi è capitato, in passato, di vivere situazioni in cui di fronte ad un problema si opponeva la frase “eh ma c’è un problema politico”, semplicemente per indicare che occorreva trovare una posizione per qualcuno.
Io ho sempre pensato che la distinzione tra un tecnico e politico fosse un’altra, ed estremamente semplice: il politico ha la responsabilità della decisione, il tecnico no (essendo il suo compito quello di fornire il supporto necessario a chi deve decidere).
Ecco perché “governo tecnico” non è nient’altro che un ossimoro.
Un buon politico non può prendere decisioni nell’interesse generale senza avere piena padronanza delle questioni su cui decide. E se non ce l’ha, deve studiare. Non per diventare un tuttologo, ma per poter sempre essere nelle condizioni di farsi un’idea autonoma sulle questioni.
Così come un buon tecnico non può produrre o esaminare tutte le opzioni per la risoluzione di un determinato problema senza tener conto delle conseguenze e dell’impatto sulla situazione generale. Altrimenti il suo consiglio è sterile.
La linea di demarcazione invece è un’altra: uno decide (con un suo decreto, una delibera, un voto in un’assemblea elettiva), l’altro no.
In questi giorni sta tornando di moda la distinzione tra “tecnica Vs politica”.
Quasi tutti la menzionano per parlare dei ministri del futuro governo Draghi.
Quasi nessuno, invece, si accorge che dietro di essa si nasconde uno dei nostri problemi più gravi: il deterioramento progressivo della qualità della nostra classe dirigente, in primis politica.