Le ragioni di una scelta, senza rimpianti. Ma una strada per andare avanti

In queste ore di “dagli al renziano!”, la mia fiducia nel dialogo (e la tendenza, comune a molti di noi, a saper sopportare valanghe di m….a senza troppi problemi) mi impone di provare comunque a esprimere in maniera pacata le ragioni che ci hanno portato alla scelta di ieri. Sperando che sia utile non a difendere questo o quel leader, ma a far fare un passo avanti a questo paese.

La reazione di pancia che hanno avuto gli italiani ieri sera assomiglia a quella che c’è in tutte le coppie che si rendono conto di non poter proseguire il loro percorso familiare. “Ma ti pare, distruggere una famiglia?” “Pensa al bene dei vostri figli!”, sono le reazioni più comuni. Spesso addirittura anche degli interessati, troppo colpiti dallo shock di breve periodo (la rottura del nucleo familiare) rispetto alle possibili conseguenze positive di lungo periodo (la serenità di non crescere i figli in mezzo al rancore).

Ebbene, io penso che se una coppia non funziona più, debba affrontare il problema e tutte le conseguenze. Anche se fuori piove e ci sono difficoltà; anzi, a maggior ragione. Perché una famiglia che non funziona, non è in grado di affrontare le difficoltà esterne e alla fine da esse si fa sopraffare comunque. Con un impatto più forte e più doloroso.

Allo stesso modo, vi assicuro che sono molto aperto – specialmente in questa fase – ai punti di vista diversi dal mio. Ma l’argomento “non si poteva fare quello che avete fatto durante un momento come questo!” non ha alcun effetto su di me. Perché sono convinto che l’azione di questo governo nei suoi 14 mesi di vita sia stata inadeguata, e proprio al fine di affrontare con successo “un momento come questo” occorra cambiare passo.

La prima domanda che qualcuno può – legittimamente – fare è “ma non potevate esprimere nelle sedi opportune la vostra opinione?”. Ma ha una risposta banale: lo abbiamo sempre fatto.

Io ho partecipato a quasi tutti i vertici in materia economica, o perlomeno quelli (non proprio tutti) a cui il mio partito veniva invitato. Non ho mai avuto la sensazione che chi mi stesse di fronte stesse realmente ascoltando quello che avevo da proporre. Le facce dicevano sempre “vediamo che cosa inventa adesso Renzi per avere visibilità, e vediamo cosa possiamo fare per negargliela”. La cosa buffa – anche se Matteo ora si arrabbierà – è che la maggior parte delle volte Renzi neanche sapeva quello che stavo per dire. Oppure si trattava di battaglie storiche del nostro partito: penso ad esempio al no alla plastic tax e alla sugar tax (una battaglia condivisa da larga parte del mondo produttivo). In quell’occasione, un importante capodelegazione di un partito di maggioranza – a corto di argomenti economici – mi aggredì dicendo che pretendeva che io non partecipassi più alle riunioni. A nulla valse ricordargli che ero stato invitato, al pari degli altri responsabili economici di tutti i partiti. Alla fine spuntammo un rinvio di sei mesi di quelle due nuove tasse, con la condanna unanime di tutti. Perchè avevamo – dissero – ricattato.

Non ricordo però analogo atteggiamento quando un partito di maggioranza – di dimensioni simili al nostro – ha bloccato una riforma alla quale il governo stava lavorando da mesi, e inerente la “pulizia” del magazzino dell’Agenzia delle Entrate (che consta di quasi 1.000 miliardi di crediti, di cui solo 79 realmente esigibili, e che quindi distoglie tempo e risorse da una vera e efficace lotta all’evasione). Quando quel partito – anzi, quel partitino – disse, isolato, che quella riforma andava fermata, la reazione non fu né di provare a cacciare il responsabile economico, né un’accusa di ricatto. Ma semplicemente “va bene, in fondo è un governo di coalizione, ci sta”.

Le nostre battaglie le abbiamo sempre condotto a viso aperto. E nelle sedi opportune, non solo nei talk show. Ma l’atteggiamento che abbiamo trovato è sempre stato questo. La ragione non sta quasi mai da una parte sola. Noi di Italia Viva abbiamo probabilmente sbagliato qualcosa nel nostro modo di porci all’esterno, in questi mesi. Ma riconoscere che gli errori ci sono stati su vari fronti non penso equivalga a legittimare il comportamento – a volte, da parte di organi di stampa, vergognoso – che è stato riservato a molti di noi.

La seconda domanda che si può porre è “ma perchè dici che l’azione di questo governo è stata inadeguata?”.

Tutti i principali dossier economici di questo paese sono in situazione di grave stallo.

La riforma fiscale, da noi proposta per riformare l’Irpef dopo mezzo secolo, ha in un anno e mezzo visto due riunioni di maggioranza. Da quello che trapela in modo clandestino, il lavoro viene svolto da un consigliere economico del Mef, senza che sia stato mai possibile aprire una vera discussione politica di metodo e di merito e senza che sia stato possibile impostare un piano di lavoro. E’ per questo che le Commissioni Finanze di Camera e Senato hanno ritenuto di avviare un’indagine conoscitiva di sei mesi, per poter discutere, analizzare e approfondire alla luce del sole, con il necessario respiro e metodo che una sfida del genere necessiterebbe. Una indagine approvata all’unanimità da tutte le forze politiche, a testimonianza che quando si vuole, un altro metodo di lavoro è possibile.

Questa maggioranza non ha una posizione comune sull’Alta Velocità: nè sul “se”, nè sul “come”, nè sul “dove”, nè sul “quando”. Qualche settimana fa un partito di maggioranza, su questo argomento, ha votato contro il governo in Commissione Trasporti. No, non eravamo noi. E infatti in quel caso nessuno ha parlato né di traditori, né di pierini, né di rompiscatole in cerca di visibilità. A dire il vero, la maggior parte dei media non ha neanche riportato la notizia.

Il 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti, e dobbiamo prepararci a gestire una situazione di estrema difficoltà. Non c’è alcuna idea sulle politiche attive del lavoro (che sono ferme ai navigator e ai deliri di Mimmo Parisi), e la riforma degli ammortizzatori sociali – la cui necessità è cosi evidente dato il ritardo inaccettabile che ha avuto la cassa integrazione – è completamente ferma. Senza che sia mai stato possibile anche solo incontrarsi per capire, discutere, analizzare, approfondire, decidere, programmare.

Dossier meno visibili ma altrettanto cruciali per lo sviluppo del paese come Alitalia, Ilva, Autostrade, rete unica di telecomunicazioni, giacciono abbandonati e senza alcuna spinta propositiva. Mentre – è il caso di Autostrade – la distanza tra la realtà e la narrazione da social raggiunge il massimo. Non ci si può aspettare diversamente, del resto, da chi in queste ore per dimostrare di “avere ragione nel merito” mostra la classifica degli hashtag su twitter.

Siamo l’unico paese europeo che non manda i ragazzi a scuola da quasi un anno. Senza che ci sia la più pallida idea di come risolvere, concretamente, il problema. Chi pone la questione – sottolineando la necessità di non formare la prossima generazione di sottosegretari che confondono la Libia col Libano – viene massacrato sui media da una potente e coordinata macchina comunicativa.

Sul Mes, abbiamo abbandonato ogni velleità di imporre la nostra linea, ma chiediamo di rispondere – in modo trasparente e pubblico – ad una semplice domanda: perchè la stessa identica cosa che si fa con i prestiti del Recovery Fund (che hanno molteplici e pesanti condizionalità macroeconomiche) non si fa i prestiti della linea pandemica del MES (che non hanno condizionalità di quel tipo)? Lungi dal rispondere a questa domanda, qualificati ministri di questo governo da quasi un anno continuano a raccontare menzogne in tv e sui giornali. Una cosa che in qualsiasi altro paese del mondo porterebbe alle dimissioni, ma che in Italia – complice anche un sistema dell’informazione che ha perlomeno gli stessi problemi che ha la politica – viene considerata del tutto normale.

Il primo confronto di maggioranza sulla legge di bilancio 2021 ,approvata dal consiglio dei ministri il 15 ottobre, è iniziato il 13 ottobre. Condensando in due giorni il lavoro che normalmente si fa in almeno due mesi.

Il Recovery Plan – l’atto di programmazione economica più importante della storia della Repubblica italiana – è stato lavorato per mesi in una stanza; ancor oggi si ignora che stanza fosse e chi esattamente fossero i partecipanti alla riunione e gli estensori. Si è materializzato a dicembre – senza nessuna riunione preventiva di maggioranza per discuterlo – ma con l’ordine (impartito a mezzo stampa) di approvarlo così com’era e con un sistema di governance che rendeva possibile la nomina di privati cittadini a cui affidare non solo poteri sostitutivi delle amministrazioni pubbliche ma anche il potere di emanare ordinanze in deroga a tutte le leggi della Repubblica (escluso il codice penale). E quando ci siamo opposti, è scattato l’algoritmo di cui parlavo all’inizio: “pierini”, “guastafeste”, “irresponsabili”, “avete il 2%”. A cavallo di Capodanno poi – mentre in fretta e furia si dava incarico a qualche tecnico serio di metterci le mani – tutti hanno riconosciuto che quanto accaduto rasentava la follia. Ma noi siamo rimasti i pierini, i guastefeste, gli irresponsabili.

Chi è arrivato alla fine di questo lungo pippone probabilmente pensa “ma in fondo l’Italia ha sempre funzionato così”.

Probabilmente ha ragione. Prova ne sia che negli ultimi vent’anni siamo stati il paese con il tasso di crescita medio più basso del mondo. E tanti dei nostri problemi decennali (il funzionamento dei mercati, la pubblica amministrazione, la produzione di beni pubblici, il sistema formativo, l’evasione fiscale) sono sostanzialmente sempre gli stessi.

C’è un dettaglio, però, che da qualche mese ho provato – senza alcun successo – a ripetere in ogni sede, pubblica o privata. Un dettaglio che rende del tutto impossibile “fare come al solito”, e rassegnarsi al fatalismo italiano che è tanto rassicurante per così tante persone.

Questo dettaglio è che usciremo da questa terribile crisi del Covid con un debito pubblico intorno al 160% del Pil. Se “facciamo come al solito”, se per quieto vivere continuiamo a far finta di non guardare la realtà, e se quindi continuiamo a crescere allo stesso ritmo con cui siamo cresciuti negli ultimi decenni, alla fine degli stimoli monetari della BCE e in un mondo senza inflazione questo significa condannare il paese, entro pochi anni, allo stesso identico destino che hanno già sperimentato, tra gli altri, Grecia e Argentina. Questa è la situazione, questo è il livello della sfida che abbiamo di fronte, oltre ai dispetti e alle schermaglie tra narcisisti (compreso chi scrive) a cui sembra ridotta la politica italiana da bel po’ di tempo a questa parte.

Noi lo vorremmo evitare, se fosse possibile. E siamo sempre disposti a sederci con chiunque per parlarne.

A condizione di ascoltarci. E di cambiare rotta.

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