Il vero problema del superbonus edilizio 100% non sono soldi. Come per ogni altro problema italiano.

Il super-bonus 110% è quella misura – approvata nel DL “Rilancio” della scorsa primavera – per cui alcuni lavori di ristrutturazione e riqualificazione edilizia fatti in edifici privati fino al 31 dicembre 2021 verranno interamente (o addirittura più che interamente) pagati dallo Stato. O subito – se ci cederà il credito – o tramite uno sconto alle tasse in cinque anni.

In queste settimane è forte la pressione per una proroga di quella data, poiché a soli 12 mesi dalla sua scadenza sono pochissimi i lavori completati (o persino partiti).

Io sono un convinto sostenitore della proroga di un anno, che mi pare una soluzione che contempera le due esigenze in gioco: da un lato l’enorme costo potenziale a carico dei contribuenti, dall’altro la necessità di consentire allo strumento di poter effettivamente dispiegare i propri effetti benefici sull’attività edilizia e quindi sull’economia.

Qualcuno potrebbe pensare che il fattore che rischia di far fallire questa misura sia la mancanza di risorse pubbliche.

Un’occhiata un po’ più approfondita rivela, tuttavia, che le cose non stanno esattamente così.

Per poter iniziare i lavori, serve che il comune rilasci il certificato di conformità urbanistica ed edilizia dell’edificio su cui si intende intervenire (in pratica, la garanzia che si tratti di un edificio regolare!).

Nella stragrande maggioranza dei comuni italiani, questi documenti si trovano in formato cartaceo, in vecchi e polverosi archivi. E con la maggioranza dei dipendenti comunali in smart working, risulta impossibile anche solo andarli a prendere.

Fa eccezione il comune di Bologna, che dal 2015 ha investito i proventi delle sanzioni per abusi edilizi (circa tre milioni di euro) per digitalizzare completamente gli archivi, così che tutte le pratiche edilizie vengano trattate in formato digitale (e quindi anche da dipendenti in smart working).

Morale della favola: il problema del “super bonus 110%” non è la mancanza di risorse pubbliche.

Ma l’innovazione tecnologica, l’organizzazione del lavoro, la virtuosità nell’utilizzo delle risorse pubbliche.

Come, del resto, quasi ogni altro problema che abbiamo.

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