Quella notte in cui la democrazia rischiò

50 anni fa, stanotte, l’Italia andò più vicina ad un colpo di Stato di quanto non lo sia mai stata nella sua storia repubblicana.

Centinaia di congiurati e alcuni reparti delle forze armate – agli ordini di Junio Valerio Borghese (ex-comandante della X Mas, durante la seconda guerra mondiale) – iniziarono un’azione militare nei ministeri e nei centri Rai, secondo un piano che prevedeva l’arresto del Presidente della Repubblica e di centinaia di politici e l’instaurazione di un governo autoritario.

All’ultimo istante – ad azione già in corso e per ragioni mai chiarite – il golpe fu annullato.

Quando gli eventi vennero alla luce, alcuni mesi dopo, ci fu il tentativo di farlo passare per uno scherzo (“il golpe da operetta”).

Ma nei decenni successivi fu accertato che di tutto si trattava meno che uno scherzo: era un’azione ben programmata, con collegamenti internazionali e con l’appoggio delle organizzazioni criminali italiane. Alla fine, nel 1984, ovviamente tutti i protagonisti furono assolti dalla giustizia, e il “golpe Borghese” fu consegnato alla storia. Per essere rapidamente dimenticato.

Quella notte – per fortuna – andò così, ma da lì iniziarono dieci anni di sangue, attentati, misteri e tragedie: da piazza della Loggia a Brescia all’Italicus, dal caso Moro alla strage di Bologna. Tutti episodi di cui mancano tasselli decisivi o – più spesso – l’intera storia.

A mezzo secolo di distanza, credo sia particolarmente importante ricordare quella notte.

Perché tra rimpasti, Mes, cabine di regia e tanta tanta confusione, potrebbe essere interessante ricordare che la democrazia italiana è stata molto più fragile di quello che crediamo.

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