la mia intervista su il quotidiano L’Altra Voce Quotidiano Nazionale del 27 giugno 2025
Onorevole, i partiti tradizionali si svuotano, i cittadini si disaffezionano, e lei cosa fa? Pensa davvero che l’Italia abbia bisogno dell’ennesimo micro-partito personale?
«Quindi mi pare di capire che, secondo lei, se i partiti tradizionali falliscono, la soluzione è lasciare che continuino?».
Se ognuno si facesse un partito…
«Forse mi ha confuso con qualcun altro (la capirei eh, ci sono tanti esempi). Ma noi non abbiamo fondato un partito personale. Abbiamo messo insieme quattro associazioni diverse, abbiamo messo centinaia di persone a scrivere un manifesto dei valori, uno statuto e le principali proposte programmatiche.
Siamo partiti dal territorio, creando strutture locali in tutte le regioni italiane, con migliaia di iscritti. Facciamo webinar settimanali, banchetti in piazza e iniziative tematiche. E solo ora, dopo sei mesi così, eleggiamo un segretario. Se a questo lei sembra un partito personale…».
Che senso ha crearne uno nuovo se non per replicare il cespugliame sterile alla Calenda-Renzi?
«Il Terzo Polo fu l’intuizione più felice (e più di successo) degli ultimi anni della politica italiana. Se fosse andato avanti, la storia politica di questo Paese sarebbe diversa. Il suo affossamento – il più grande atto di masochismo visto recentemente – è accaduto perché alcuni dei protagonisti non furono disposti a mettere il progetto davanti all’ego.
Un errore che noi non faremo. Perché vogliamo esattamente ricostruire, su base paritaria e con chiunque ci stia, una formazione liberal-riformatrice e alternativa ai due poli. Per rappresentare quel pezzo di Paese che oggi non vuole né Landini ministro del Lavoro, né Salvini ministro dell’Interno».
L’economia globale arranca, l’inflazione non molla, i tassi strangolano famiglie e imprese. Ci spiega, con parole semplici, cosa farebbe lei al posto di Giorgetti? O è più comodo analizzare da commentatore tecnico?
«Non le spiego solo cosa farei io. Le spiego i primi due punti programmatici del Partito Liberaldemocratico per le elezioni 2027. II primo: tagliare, nell’arco della prossima legislatura, tre punti di spesa pubblica in rapporto al Pil. Sono circa 70 miliardi. Da destinare integralmente ad abbassare la pressione fiscale, in particolare abolendo l’Irap e riformando radicalmente l’Irpef per chi lavora e produce. In molti si chiedono come si fa. Ma è semplice: nella spesa pubblica italiana (1200 miliardi) ci sono sprechi giganteschi. Vanno sradicati introducendo meccanismi cogenti di valutazione delle politiche pubbliche, accorpando le stazioni appaltanti, facendo arretrare lo Stato da settori nei quali non c’entra. Insomma: spendere i soldi pubblici con la stessa cura con cui spendiamo i nostri soldi privati, non guardando più in faccia a rendite di posizione e potentati».
Il secondo punto?
«Fare una rivoluzione a costo zero di liberalizzazioni e concorrenza. Dal commercio al trasporto pubblico locale, dall’energia ai rifiuti, passando per tassisti, balneari e persino istruttori di scuola guida. Una gigantesca opera di liberazione delle energie di questo Paese, che da troppo tempo sono represse da corporazioni, conservatorismi e burocrazia».
Giorgia Meloni ha capitalizzato il vuoto lasciato dagli altri. Lei sosterebbe un governo di centrodestra?
«Ma di quale centrodestra stiamo parlando? Io questo non lo chiamo centrodestra. Lega e Fdi hanno preso il consenso con un programma di estrema sinistra, con il programma dei Cobas, sì ai prepensionamenti no al mercato, più spesa pubblica. Poi hanno fatto altro. Ma se promettiamo una cosa e ne facciamo un’altra è il caos completo».
Difesa europea: sogno federalista o utopia inutile? Lei è per una vera integrazione militare o si accontenta dei soliti proclami vuoti di Bruxelles?
«La difesa è un bene pubblico. Che non significa “gratis”‘. Per 80 anni ce l’hanno fornita (e in buona parte pagata) gli Usa, ora non sono più disposti a farlo. Quindi ora l’Europa deve provvedere per sé. La soluzione non può essere l’esercito europeo, perché gli eserciti rispondono ad una autorità politica democraticamente eletta, e questa ancora non esiste in Europa oggi. La soluzione è invece una maggiore interoperabilità tra le forze armate nazionali, e la progressiva unificazione delle catene di fornitura dell’industria militare, al fine di realizzare economie di scala. E per fare tutto questo, proporrei di invertire l’ordine dei fattori. Invece di preoccuparsi di quanta parte di Pil spendiamo in difesa e solo poi di a cosa serve, facciamo il contrario: cerchiamo di capire cosa serve e quanto costa, e poi ripartiamo il costo tra i Paesi membri sulla base della popolazione».
Ucraina: sostiene le armi a oltranza, la trattativa, o l’ambiguità elegante di Macron? È favorevole alle spese Nato? E soprattutto, come risponde a chi dice che i riformisti si limitano a rincorrere posizioni altrui?
«A non volere la trattativa è Putin, lo ha capito persino Trump. O meglio, concepisce come trattativa solo la resa incondizionata dell’Ucraina. Finché non cambia idea, non abbiamo alternative a continuare il sostegno a quel Paese».
Lei si dice né di sinistra né di destra, ma la politica, sostiene qualcuno, si fa scegliendo un campo. Dunque, si candida a essere l’alternativa alla Meloni o l’alibi perfetto per chi non vuole scegliere? E con la sinistra che fa, dialoga?
«Lei, come tanti altri, si è illuso di vivere in un paese anglosassone. Dove da 200 anni ci sono solo due culture politiche, e una legge elettorale maggioritaria a turno unico. Noi invece una legge elettorale così non ci siamo neanche mai sognati di farla, e abbiamo almeno 5 culture politiche nella nostra storia (socialista, comunista, laico-liberale-repub-blicana, cattolico popolare, destra sociale).
Ma dopo la fine della Prima Repubblica siamo tutti caduti vittima dell’illusione di poter inventare a tavolino la nostra storia. Per 20 anni il bipolarismo non dico ha funzionato, ma almeno reggeva. Perché rispettava la condizione di equilibrio dei sistemi bipolari: competere al centro. Prodi e Berlusconi erano due leader centristi, le due coalizioni avevano il baricentro in forze moderate. Da una decina d’anni a questa parte, le due coalizioni non competono più per l’elettore mediano, ma per quello estremo: Salvini, Vannacci, Meloni fanno a gara a non farsi scavalcare a destra. Landini, Conte, Schlein per non farsi scavalcare a sinistra. Così facendo, un pezzo sempre più grande di Paese non ha rappresentanza politica, e infatti smette di votare. Quindi, certo che la politica si fa scegliendo un campo. Ma il fatto che i campi debbano essere solo due, è il più grande inganno che sia stato auto-inflitto dalla politica italiana. Noi il nostro campo l’abbiamo scelto, e con convinzione: quello che ha smesso di allearsi coi populisti (di destra e di sinistra) e ha deciso di ricacciarli da dove sono venuti».