Rerum Novarum 2.0 per far crescere la produttività

Il mio editoriale per il Riformista del 14 maggio 2025

Quando nel 1891 Leone XIII scrisse la Rerum Novarum, dando così il via alla dottrina sociale della Chiesa, nelle fabbriche dei paesi che stavano vivendo la fase piena della Rivoluzione Industriale non esisteva un limite legale all’orario di lavoro. Gli operai, incluse donne e bambini, lavoravano anche 14 o 16 ore al giorno. Non esistevano sindacati, né contratti di lavoro. Gli operai potevano essere licenziati sul momento, senza alcun preavviso. Le fabbriche erano luoghi totalmente malsani e sporchi, e non esisteva alcun tipo di assicurazione, né sanitaria né per gli infortuni. I bambini venivano impiegati in lavori faticosi e pericolosi.

A fronte di questo quadro infernale, l’enciclica papale fu un momento fondamentale nel percorso, che sarebbe durato decenni, per stabilire condizioni umane di dignità del lavoro.

Quasi un secolo e mezzo dopo, grazie a Dio (e agli uomini), la situazione del lavoro nel mondo occidentale è molto diversa. E da moltissimo tempo.

Il problema fondamentale, e Leone XIV lo ha esplicitato con sorprendente prontezza, ora è re-inventarsi concetti come organizzazione del lavoro e formazione dei lavoratori all’epoca dell’ultimo stadio del processo di automazione produttiva e intellettuale che iniziò proprio con la macchina a vapore durante la prima fase della Rivoluzione Industriale. Vale a dire, l’intelligenza artificiale. Come cambiare la scuola, l’università e l’organizzazione dei luoghi di lavoro nell’epoca di Chat GPT per far sì che l’uomo sia in grado di utilizzare la macchina e non viceversa?

In Italia poi abbiamo un problema in più. La produttività del lavoro da un quarto di secolo cresce ad un tasso quattro volte inferiore rispetto ad altri paesi europei. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: la dinamica delle retribuzioni reali è la peggiore del mondo occidentale, e forse non solo. Produrre un’automobile in Italia costa tre volte più che in Spagna (Spagna, non Bangladesh). E il gap non è solo dato dal differenziale di costo dell’energia, ma anche da una più produttiva organizzazione del lavoro in fabbrica. Che la Spagna – eldorado del socialismo per alcuni Sindacal-Campo-Larghisti – ha realizzato con una riforma del mercato del lavoro che da noi verrebbe considerata la vittoria dei padroni e del liberismo sfrenato.

Nel dibattito politico italiano invece siamo tutti in spasmodica attesa – è solo questione di tempo – che qualcuno usi le parole di Leone XIV come spot ai referendum della CGIL e del Pd contro il Jobs Act.

Non si capisce, invece, che combattere per la dignità del lavoro nel 1891 significava evitare che lavorassero i bambini e che si lavorasse 16 ore al giorno. 

Nel 2025 significa nel mondo ripensare completamente il sistema formativo e l’organizzazione del lavoro. E in Italia, oltre a questo, significa fare un nuovo Patto – simile a quello del 1993 – ma avente ad oggetto il vero nemico dei lavoratori e delle loro condizioni di vita: la crescita della produttività più bassa del mondo.

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