Marattin: “Caro energia e flop PNRR, così l’Italia può affondare”

la mia intervista del 14 febbraio 2025 con Antonio Troise per il Quotidiano del Sud

Il calo della produzione industriale, le tensioni sui dazi. Ma anche la sonnolenza della politica e dei cosiddetti corpi intermedi rispetto ad una crisi che mette a rischio i conti e la tenuta del paese. Luigi Marattin, trasfuga da Italia Viva per fondare l’associazione Orizzonti Liberali, non nasconde le sue preoccupazioni. E, nell’intervista, non risparmia bordate sia per il governo sia per l’oppo-sizione. Ma il suo ragionamento parte da una considerazione: “Due anni di calo fanno pensare che non sia solo colpa della congiuntura tedesca ma che nasconda una tendenza più strutturale. Del resto basta vedere quali sono i settori che hanno registrato un calo a doppia cifra: auto, tessile abbigliamento, metallurgia, legno-carta.
Nel settore auto vi è non solo la questione della difficile (e gestita malissimo) transizione verso l’elettrico, ma anche un probabile cambio strutturale delle preferenze dei consumatori sul lato della domanda. E gli altri settori sono produzioni tradizionali che, nel mondo globalizzato, sono sempre più appannaggio dei paesi emergenti”.


L’Italia non è sola: anche gli altri paesi europei soffrono. Ma il dato medio nel 2024 è di un calo dell’1,1% mentre il nostro Paese è del 3,1%, tre volte in più. Perchè soffriamo di più?

Quando si parla di industria, non si può prescindere dal costo dell’energia. Che da noi è il 30%-40% più alto rispetto agli altri paesi europei. Con un simile “elefante sulle spalle” fai fatica a correre. Ma la spiegazione è anche più profonda: la nostra struttura industriale, rispetto agli altri paesi, è caratterizzata da una maggiore importanza di due caratteristiche: imprese di dimensioni minori e imprese che operano in settori a basso valore aggiunto (per non dire di chi combina entrambe queste caratteristiche). E su questo campo la concorrenza dei paesi emergenti è ormai imbattibile, basti vedere cosa sta accadendo in questi giorni sulla chimica di base. Nel frattempo nel mondo cresce la domanda per una manifattura in grado di combinarsi con le ultime innovazioni tecnologiche (internet of things, intelligenza artificiale). Ma per posizionarci su queste produzioni occorreva preparare il terreno anni fa, con coraggio e lungimiranza. Noi invece stiamo sempre con la testa rivolta al passato.


E le cose, probabilmente non potrenno che peggiorare visto quello che si annuncia a livello globale. Che cosa cosa succederà ora che Trump ha inaugurato la nuova politica dei dazi? Forse non incidono tanto ma creano forte incertezza?

La smentisco. Se i dazi fossero delle dimensioni annunciate, inciderebbero eccome. E poi certo, un clima di incertezza, la diminuzione del commercio e appassimento delle catene del valore globali non può che far male alla crescita.


Una domanda secca per una risposta altrettanto sintetica: non sarebbe l’ora di tornare al nucleare?

Senza se e senza ma. E subito, con la tecnologia esistente.


Il PNRR, con il suo carico di riforme, avrebbe dovuto rivoltare il Paese, portando sviluppo modernità e infrastrutture. Come stanno andando le cose?

Il Pnrr contiene tante cose buone. Ma è ora di dire che è pesantemente viziato da due cose: averlo riempito di progetti vecchi che erano già nei cassetti (e destinati altrimenti ai Fondi Strutturali), e aver distribuito la spesa come se fosse il regalo di Babbo Natale e non per aggredire i nodi strutturali che frenano da 50 anni la crescita della produttività. Perciò credo che dovremmo prepararci a dichiararne il fallimento, perlomeno per quanto riguarda l’effetto sulla crescita strutturale.


Che cosa sta facendo il governo per tamponare questa crisi?

Poco, onestamente. Si culla continuamente con gli ottimi dati sull’occupazione (che, vista la crescita anemica del Pil, sembrano essere soprattutto lavori a bassissimo valore aggiunto), ma perde di vista il quadro generale. Transizione 5.0 – tra l’altro finanziata con fondi Pnrr – è un fallimento finora, sono prenotati solo 394 milioni su 6,8 miliardi. Perché ancora non si è capito che sono solo tre le cose che contano quando si fanno incentivi per le imprese: semplicità, semplicità e semplicità. Meglio ridurre le tasse che fare incentivi complessi e burocratici.


Si continua a fare cassa con le rottamazioni. Ma non sarebbe importante procedere con le riforme di policy, a cominciare dalle liberalizzazioni?

Sia destra che sinistra sono allergiche al mercato. Per la destra è una minaccia per le corporazioni che difendono a spada tratta, per la sinistra la longa mano del liberismo e dell’austerità. Invece l’Italia è un paese bloccato da rendite di posizioni e corporazioni dal sapore quasi medioevale: per moltiplicare le opportunità e dare una ventata di aria fresca serve invece proprio il mercato. Anche e soprattutto nel Sud, dove ad un giovane escluso perché non ha “le conoscenze giuste” è ora di far capire che quello che fa per lui è la rivoluzione del mercato e della concorrenza.


Non crede che anche i corpi intermedi abbiamo le loro responsabilità? E mi riferisco anche agli imprenditori

Fa comodo dare tutta la colpa alla politica. Ma il declino del paese è responsabilità di tutti, a cominciare da chi si gira dall’altra parte e cura proprio il suo piccolo spazio di sole su una barca che sta affondando da molto tempo.


I sindacati, o almeno una parte, insiste su battaglie come l’articolo 18. Altre associazioni non vanno oltre le rivendicazioni corporative. Sono i vecchi vizi che tornano?

C’è un’Italia bellissima che avrebbe voglia di mollare gli ormeggi e costruire il futuro, oltre la tutela del proprio piccolo orticello. Ma non ha trovato sponda nella politica, che ha preferito assecondare le tendenze al declino (per ricavarne consenso di breve periodo) piuttosto che mobilitare le energie del paese verso una riscossa nazionale, adatta a questo secolo e non a quello precedente.


Che cosa bisognerebbe fare, per evitare problemi ancora più grandi?

Noi facciamo la nostra piccola parte. Sabato 8 marzo a Roma, unificando quattro associazioni di area liberal-democratica, facciamo nascere un partito che dirà le cose che destra e sinistra non sanno o non vogliono dire. Ma che servono all’Italia a evitare il declino.

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